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Sguardi sul dolore del ricordo
dramma di pensiero in tre atti
scritto e diretto da Lucia Calamaro
con Riccardo Goretti, Alice Redini, Simona Senzacqua
assistenza alla regia Camilla Brison
scene e costumi Lucia Calamaro
contributi pitturali Marina Haas
direttore tecnico Loic Hamelin
orari spettacolo
ore 20
domenica ore 18
lunedì riposo
durata I atto 50 minuti - II atto 60 minuti - III atto 35 minuti
Ritratto d'artista Card 32€ 4 ingressi
produzione Sardegna Teatro, Teatro Stabile dell’Umbria, Teatro di Roma
coproduzione Festival d'Automne à Paris / Odéon-Théâtre de l'Europe
in collaborazione con La Chartreuse - Centre national des écritures du spectacle
e il sostegno di Angelo Mai e PAV
La Vita Ferma è uno spazio mentale dove si inscena uno squarcio di vita di tre vivi qualunque - padre, madre, figlia - attraverso l’incidente e la perdita. Una riflessione sul problema del dolore-ricordo, sullo strappo irriducibile tra i vivi e i morti e su questo dolore è comunque il solo a colmare, mentre resiste. Un dramma di pensiero in tre atti che accoglie, sviluppa e inquadra il problema della complessa, sporadica e sempre piuttosto colpevolizzante, gestione interiore dei defunti.
Gli atti
Nel primo atto c’è un trasloco, una casa da svuotare, forzosamente attraversata dallo spettro e il suo voler essere ricordato bene, in quanto unico, insostituibile.Se non lì, in una casa abbandonata, dove altro avrei potuto metterlo?
Nel secondo una coppia con bambina: Lui, Riccardo,storico e nostalgico fissato con Paul Ricoeur e i sinonimi; Lei Simona, quasi danzatrice e eccentrica fissata col sole e coi vestiti a fiori ; la figlia Alice, da subito troppo sensibile, fissata col voler intorno gente che le parli. Quindi la morte di Simona, dopo protratta e non identificata malattia (non importa come, importa che muoia).
Nel terzo atto c’è un’Alice cresciuta e a sua volta neo-madre che ritrova il vecchio padre Riccardo, sulla tomba, o quasi, della madre morta anni prima; ragionano non senza conflitti, su quell’assenza anticipata che sempre-e chissà se sempre meno o nel tempo ancora di più- ha marcato una rottura nel racconto illusoriamente prescritto delle loro vite.
Nota bene
So che in questo racconto, da qualche parte, abita inoltre una riabilitazione più o meno dichiarata di una poetica del pathos.
Questo termine soffre oggi di un discredito generale, si elogia l’“approccio senza pathos” di temi di una gravità impossibile, come se il patetico fosse diventato l’osceno.
Io non sono più d’accordo. E fosse anche osceno, ne sento il bisogno. Quest’affetto, il pathos, parente feroce di pietà e compassione è secondo me l unico capace di incarnare e raccontare i disastri che compongono in parte una vita e la natura scandalosa e qui sì, oscena, del diktat dell’oblio.
Lucia Calamaro
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