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di Franco Perrelli
Si sa che, nel 1879, Ibsen sostenne al Circolo Scandinavo di Roma la parità fra i sessi, paragonando donne e giovani al «vero artista», e che, nel 1884, sottoscrisse con Bjørnson, Lie e Kielland una petizione liberale per un’equa divisione dei beni nel matrimonio. La «questione femminile», in Scandinavia aperta almeno dalla metà dell’Ottocento, probabilmente toccò Ibsen primariamente tramite i contatti con la scrittrice femminista Camilla Collett, ma è negli anni Settanta-Ottanta che esplose come uno scottante problema pubblico.
Nel 1882 affermava che ai suoi tempi «ogni nuova opera aveva il dovere di spostare i pali di confine».
Affermava che il problema erano i retaggi culturali del passato, che schiacciavano ogni individuo, minandone la libertà.
Si spinse perfino a tracciare un programma democratico «le cui riforme fossero efficaci, basate su un ampio allargamento del suffragio, la soluzione della questione femminile, la liberazione dell’istruzione pubblica da ogni sorta di retaggio medievale ecc.»
Per quanto riguarda la condizione della donna è doveroso citare un discorso del 26 maggio 1898, quando Ibsen,di fronte alla Lega delle Donne Norvegesi, trasmise alle donne stesse un messaggio dietro il quale faceva intravedere una severa logica educativa ed evolutiva. Dichiarò infatti che stava «Alle madri, con il loro lavoro indefesso e lento, suscitare un consapevole senso di cultura e di disciplina.» Inoltre più avanti asseriva che le donne erano «calpestate come figlie, come sorelle, come mogli, non educate secondo le loro qualità, ostacolate nel seguire le proprie vocazioni, private del proprio patrimonio, inasprite nell’animo», e che questa condizione di subalternità, trasfigurandosi quasi in un problema eugenetico di specie – ai tempi l'eugenetica era l'avanguardia scientifica –, denunciava un altro problema: quali madri avrebbe avuto la nuova generazione?
Al contempo nella medesima circostanza Ibsen non ebbe difficoltà a dichiararsi «più poeta e meno filosofo sociale», respingendo «l’onore di avere consapevolmente lavorato per la causa femminile.» Peraltro non gli era chiaro che cosa fosse propriamente questa causa. Sostenne che per lui la questione si era «posta come una causa dell’umanità.
E se si leggono i miei libri con attenzione lo si capisce […]. Il fine era stato la descrizione di esseri umani».
Insomma, la questione femminile in Ibsen s’inquadra in un’amplissima scala universale, più che in una scala sociale o politica. Descrive la donna come una sorta di «minatore», cioè come di un essere che ha un più intenso rapporto con le profondità, le scaturigini stesse della vita, della psiche, del cosmo storico-sociale. Questa peculiarità autentica non è in sé gratificante nel quadro della civilizzazione cristiana, borghese ed essenzialmente maschile, anzi finisce per essere drammaticamente dinamica e dialettica nei confronti di essa, dei suoi valori e del sistema delle relazioni umane. Ibsen è il poeta di questo conflitto cosmico.
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