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ideazione e regia Laura Andreini Salerno e Valentina Esposito
drammaturgia Valentina Esposito
con i detenuti attori della Compagnia del Reparto G8 della Casa Circondariale Rebibbia N.C. e con venti giovani allievi dell’Accademia Internazionale d’Arte Drammatica
Fabio Albanese, Massimo Alletta
Giuseppe Borzacchiello, Jacopo Cinque
Patrick Cosma, Sandro Dari, Marco Dell’Unto
Cristiano Demurtas, Vincenzo Di Letizia
Alessandro Di Murro, Massimo Di Stefano
Giovanni D’Ursi, Alessio Esposito, Andrea Ferrara
Roberto Fiorini, Roberto Fois, Alessandro Forcinelli
Maria Gentiloni Silveri, Filippo Giuffrida,Toma Jovanovic
Giorgio Latini, Stefano Laurenti, Marta Maggio
Tommaso Marsella, Pamela Massi, Giulia Modica
Alfio Maria Motta, Romolo Napolitano, Elena Oliva
Fabrizio Orlando, Ruggero Palmiotto, Laura Pannia
Ciro Pauciullo, Teresa Pauciullo, Elisabetta Petronio
Giancarlo Porcacchia, Massimo Ramoni, Lida Ricci
Margherita Tiesi, Mohammed Tifas, Mark Tosi
Giuseppe Valerio
scenografia Enzo Grossi
costumi Paola Pischedda
luci Valerio Peroni e Cosimo Marasciulo
tecnico del suono Gino De Dominicis
foto di scena Livia Cannella
organizzazione Alessandro De Nino e Serena Lesti
direzione artistica Laura Andreini Salerno
info spettacolo
ingresso libero con prenotazione obbligatoria
online dal 2 al 12 settembre '13
sul sito enricomariasalerno.it
Tel. 0690169196
laribalta@tiscali.it
FESTIVAL DELL’ARTE RECLUSA III° EDIZIONE – ANNO 2013
col Patrocinio di Roma Capitale
con il sostegno della Fondazione Roma-Arte-Musei
organizzato dal Centro Studi Enrico Maria Salerno
in collaborazione con il Teatro di Roma
e la Direzione della C.C. Roma Rebibbia N.C.
Primi Novecento. Nelle cucine di un grande transatlantico in rotta verso le Americhe, si svolge una vicenda d'amore paterno, filiale, una storia di nostalgia e rimpianto tra passato e presente. L'immensa nave addobbata a festa ripercorre il viaggio inaugurale di diciotto anni prima. A quel tempo l'equipaggio viaggiava verso l'illusione di una nuova vita intorno al mondo. Tanti anni dopo, invecchiati, quasi "reclusi", i cuochi di bordo attendono ansiosi che la giovane Miriam ricompaia nelle loro vite. Miriam: la figlia dell'armatore, la bambina che aveva trascorso in navigazione i primi sei anni della sua vita condividendo con l'equipaggio un'infanzia serena sull'oceano perennemente in bonaccia. Miriam: che a sei anni lascia la nave per affrontare la vita a terra, la scuola, l'adolescenza, l'esperienza del mondo "normale", lasciando dietro di sé l’affetto di altrettanti padri quanti erano i cuochi della nave. Loro la ricorderanno per sempre, unico affetto filiale fra il rude cameratismo della ciurma, il clangore della sala macchine e il caos organizzato dei fornelli. Siamo alla vigilia del ballo per il suo diciottesimo compleanno, la festa sarà grandiosa, 800 sono gli invitati ma solo a lei è dedicata la sublime raffinatezza delle portate. Lei, Miriam, tornata sulla nave per festeggiare il proprio diciottesimo compleanno, si ricorderà di quei cuochi ragazzi divenuti ora maturi chef che non sono mai davvero riusciti a salire le scale che dalle cucine sottocoperta conducono ai grandi saloni delle feste di prima classe? Nelle cucine del transatlantico si vive la frenetica laboriosa attesa di un ritorno che restituisca un attimo di gioia dopo i lunghi anni della solitudine affettiva. Ma Miriam non si fa viva. I piatti che le vengono espressamente preparati ed inviati in cabina, ritornano intatti alle cucine. Fra i saloni e i ballatoi, inservienti riportano voci inquiete. Forse Miriam è triste, forse è vittima di un dispiacere a tutti sconosciuto. L’enigma diventa motivo ispiratore per parlare dei sogni infranti, dell’età della giovinezza, di quello che è stato e che poteva essere, dei sogni ancora da realizzare, speranze e desideri. Dell’amore. Amore paterno, amore filiale. La pièce prova a scandagliare l'anima di uomini che dalla loro reclusione si commuovono al pensiero degli affetti lontani, dei figli distanti, degli amori perduti. E scandaglia l'animo dei giovani, di quel difficile rapporto figlio-padre, fatto di incomprensioni e ribellioni. La reclusione diventa così metafora dell'infinito lavorio dell'anima alla ricerca del significato universale dell'essere padri e dell'essere figli.
Per la prima volta, al cast dei detenuti-attori di Rebibbia N.C., si affiancano venti giovani allievi attori. Insieme rendono possibile la ricostruzione emotiva di una vicenda sospesa tra il passato e il presente, tra l'ingenua gioventù e la dura maturità, tra la vita libera e la vita reclusa nel ventre del leviatano, la grande nave che non approda mai.
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