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I episodio. Donna melanconica al frigorifero.
Primo di una serie di schizzi su una personale fenomenologia della crisi indaga la condotta di un animale che si rinchiude nella tana, Daria. Unica uscita, dall'Analista, che in questo interno è incarnato dalla Figlia.
Daria che apre un vero frigorifero. Daria che ascoltiamo mentre ne commenta, assaggia, cerca, annusa il contenuto. Daria che mastica ma niente la soddisfa. Poco cambia l'entrata della figlia insonne: conversazioni sovrapposte intorno alla banalità del quotidiano, vestiti da casa e vestiti da fuori, modalità riproduttive degli uccelli, rivendicazione poco sostenibile di poter avere una faccia triste almeno dentro casa propria. La figlia è un atlas domestico che sostiene l'intimità di Daria in doppia veste, dato che si trasforma anche nella sua Analista.
Questo c'è in scena; questi gli unici interlocutori di Daria in un periodo in cui la depressione la porta a non uscire di casa. I loro smozzicati pensieri attraversano le nature morte di Morandi (a cui Daria sente di appartenere), interrogazioni su filogenesi e ontogenesi, descrizioni del complesso psicanalitico e un omaggio alla visione della solitudine del poco conosciuto Juan Carlos Onetti. Madre e Figlia/Analista parlano, straparlano di tutto, in un singhiozzante chiacchiericcio che ritrae un quotidiano sfocato dove entrambe oscillano tra blandi tentativi di contatto e l'irrimediabile rinvio a se stesse.
II episodio. figuranti del dolore al lavatoio
Il fuori sbarca di colpo dentro casa incarnato dalla figura meridionale e baccaiona della madre di Daria. Una nonna battagliera che schiaffeggia e brontola, tentando a suon di strilli reiterati e di duro buon senso da persona media, di risvegliare Daria da questo letargo depressivo. La nonna Sofia fa rumore, personaggio di commedia che si infiltra nel dramma psicologico, cercando vanamente di riaccendere l ingranaggio vitale dei rapporti tra sua figlia e sua nipote. Ma sciorinare in solo cinque minuti sostenuti i rimproveri che un genitore di solito fa a un figlio in una vita, non basterà.
In un secondo momento il fuori si infiltra anche attraverso l'evocazione della figura demonizzata della cameriera-padrona, che gestisce la casa a modo suo, azzerando il ruolo di Daria, che cerca le cose dove non ci sono più, situazione che non fa che aumentare il suo conflitto con il reale.
Questa seconda parte riporta in fondo le soggettive tangenziali del dramma, quelle della nipote e della nonna. Una figlia che pacatamente, muovendo una madre momentaneamente tetanizzata dal dolore, racconta il suo crescere trascurata, adultizzata da una madre assente ed abbandonata a se stessa in tutto dal lavarsi al vestirsi. Una nonna che facilona e cattolica appartiene suo malgrado a una generazione precedente alla psicanalisi, una generazione che reagiva, ed è incapace di compatire l' abbandono di Daria agli stati d'animo bui.
Le accompagna per i cinquanta minuti di durata teatrali, il rumore bianco di una lavatrice vera prima mandata a vuoto, poi aperta troppo presto e senza centrifuga a inondare la scena.
In questo interno familiare disfunzionale, anche gli elettrodomestici sono fuori controllo.
III episodio: certe domeniche in pigiama
Si inizia di notte, di fronte a una vera cucina a gas celeste che domina la scena. Vediamo Daria e figlia insonni, intente a scaldarsi del latte caldo vero per cercare di riaddormentarsi, chiaccherando di film visti nel pomeriggio, di maschere di bellezza e di dubbi sull'efficacia della psicanalisi. Questa terza parte di vita quotidiana di interni ha un colore realistico apparentemente più definito delle altre che pero la rende mano mano quasi surreale e comica. È domenica e nessuno si veste. La figlia cresciuta e diventata artista plastica a colazione racconta perché utilizza protesi vere, bulbi oculari e dentiere , nelle sue sculture. Daria cucina crepes alternando urletti vittoriosi a rovesciate al volo fallimentari, condendo il gesto concreto con speculazioni su un impermeabile nero parigino e depresso perso per strada, simbolo fetiche del suo malessere; sulle diverse nature di silenzio e di vuoto che sa o non sa gestire, sull'incapacità degli abitanti dei quartieri residenziali di concedersi ai contatti imprevisti e in fondo di sentirsi ancora vivi. Verso le tre, visto che il fratello promesso non arriva, la Figlia si sfoga: la sua non appartenenza, il peso del suo lutto dei fratelli morti prima della sua nascita, il suo non sentirsi autorizzata ad esistere. Poi arriva il Padre.
Per la prima volta alla fine della terza ora l'uomo, il marito di Daria spesso evocato ma sempre assente, appare. Ma è un epifania alienante visto che gesticola e muove la bocca ma le sue battute sono dette dall'attrice che fa la nonna, dalla quinta. Per ora è un uomo agito, sonorizzato solo dal doppiato femminile.
Acquisirà vita e discorso proprio? E se si cosa dirà, qual è la sua versione della vicenda familiare?
Di questo è che si occupa la quarta parte.
IV episodio: Il silenzio dell'analista
Questo quarto episodio non è una fine, è un continuum. Indaga la forma del silenzio-parlato, soprattutto quella del retropensiero che abita la non verbalizzazione, attraverso le situazioni di silenzio che si presentano nel set analitico di Daria la protagonista.
Non c'è volontariamente una fine di Origine, lieta o drammatica, intesa come conclusione di una vicenda a suon di rivelazioni e soluzioni di conflitti. Un perché "la cosa andò cosi"non si dà, non ci è dato, semplicemente perché l'ambizione di ritrarre un momento di una vita, se non una vita intera, non accetta i finali, men che meno quelli architettati.
Ma non posso dire che mi dispiaccia. Al contrario. Va a specchio di una vicenda-spettacolo che non trova una chiusa, ma che soffre di sospensione perché la interrompo nel mentre. Un mentre in cui io smetto di guardare dentro questo interno, e smetto soprattutto di parlarlo. Più per adesione al principio di realtà che per assenza di desiderio.
Non è invece impossibile che in un futuro, qualcosa non mi riporti qui, in questo interno-casa, a vedere cosa ancora vi accade. Almeno mi piace pensarlo. E se questo non dovesse succedere, se questa casa di Origine non dovesse più tornare, forse mi dispiacerà averla dovuta abbandonare un po' troppo presto, mentre la sentivo ancora casa mia.
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