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Teatro Argentina 9 febbraio 3 marzo 2024
L’albergo dei poveri
uno spettacolo di Massimo Popolizio
tratto dall’opera di Maksim Gor’kij
drammaturgia Emanuele Trevi
con Massimo Popolizio e con Sandra Toffolatti, Raffaele Esposito, Michele Nani, Giovanni Battaglia, Aldo Ottobrino, Giampiero Cicciò, Francesco Giordano, Martin Chishimba, Silvia Pietta, Gabriele Brunelli, Diamara Ferrero, Marco Mavaracchio, Luca Carbone, Carolina Ellero, , Zoe Zolferino
Produzione Teatro di Roma-Teatro Nazionale, Piccolo Teatro di Milano- Teatro d’Europa
Conosciuto anche col titolo “I bassifondi”, o “Sul fondo”, o ancora “Il dormitorio”, questo grande dramma di Maksim Gor’kij, rappresentato per la prima volta a Mosca nel 1902, fu ribattezzato “L’albergo dei poveri” da Giorgio Strehler nel 1947, in occasione della memorabile regia che inaugurò il Piccolo Teatro di Milano nel maggio del 1947.
È quest’ultimo titolo che Massimo Popolizio ha deciso di riproporre al pubblico, in virtù del suo valore emblematico e poetico, oltre che storico. “L’albergo dei poveri” è un grande dramma corale, che si potrebbe definire shakespeariano nel suo sapiente dosaggio di pathos, denuncia sociale, amara comicità, riflessione filosofica e morale sul destino umano.
Il numero elevato degli attori in scena (la multiforme popolazione di questa sorta di rifugio dormitorio per gli ultimi della società) impone alla regia la ricerca di un ritmo adeguato al continuo mutare delle situazioni e dei punti di vista, in un crescendo di tensione reso ancora più evidente dall’angustia dello spazio evocato. Questo rifugio di derelitti e alcolizzati dove i personaggi trascorrono i loro giorni tentando di non soccombere alla disperazione e all’inerzia della sconfitta.
Si tratta di una sfida che, dopo Stanislavskij che fu il primo regista del dramma di Gor’kij, è stata raccolta da grandi maestri della regia teatrale, come Strehler, e anche cinematografica, tra gli altri, Resnais e Kurosawa. Se le grandi opere viaggiano nel tempo per essere rilette a ogni generazione da angolature diverse, lo stile di regia di Popolizio, la sua maniera di dirigere gli attori e il meccanismo teatrale nel suo complesso, appare particolarmente adeguato a scrivere un nuovo capitolo di questa storia di interpretazioni.
Il nostro non è il mondo del 1902, e nemmeno quello del 1947: è mutato anche il concetto stesso di «povertà», ma l’energia drammatica, la forza visionaria, la disperata lucidità dei personaggi di Gor’kij è ancora intatta, grazie anche alla nuova scrittura drammatica di Emanuele Trevi.
Lo spettacolo debutterà in prima nazionale al Teatro Argentina di Roma il 9 febbraio 2024 e sarà in scena fino al 3 marzo.
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
foto di Claudia Pajewski
info e orari
prima, martedì, giovedì e venerdì ore 20.00
mercoledì e sabato ore 19.00
giovedì 15 febbraio e domenica ore 17.00
lunedì riposo
Personaggi e interpreti
LUKA, il pellegrino Massimo Popolizio
VASILISA, moglie di Kostylev Sandra Toffolatti
PEPEL Raffaele Esposito
KLESC, fabbro Michele Nani
IL BARONE Giovanni Battaglia
SATIN, il baro Aldo Ottobrino
BUBNOV, pellicciaio Giampiero Cicciò
KOSTYLEV, padrone del dormitorio Francesco Giordano
IL PRINCIPE, Martin Chishimba
KVASNJA, ex prostituta Silvia Pietta
ALESKA, Gabriele Brunelli
NATASA, sorella di Vasilisa Diamara Ferrero
MEDVEDEV, la guardia Marco Mavaracchio
L’ATTORE, Luca Carbone
NASTJA, ragazza Carolina Ellero
ANNA, moglie di Klesc Zoe Zolferino
Massimo Popolizio e Emanuele Trevi sull’Albergo dei poveri” (dal un dialogo per il programma di sala dello spettacolo)
Massimo Popolizio “Scoprire che cosa possa accadere con un copione come quello che abbiamo trattato significa riscriverlo in scena con gli attori e le attrici. Hai tra le mani un oggetto che è fondamentalmente un materiale di interpretazione; una parola, questa, invece completamente fuori moda. Qui non c’è alcun metateatro, questo è un teatro di personaggi che devono essere resi tridimensionali, che dalla carta devono alzarsi in piedi sul palcoscenico. Essendo di carne e d’ossa, una volta alzati in piedi ci raccontano qualcosa a prescindere dalle parole. È un lavoro molto complesso”.
Emanuele Trevi “Lavorando abbiamo passato dei mesi molto nutrienti dal punto di vista creativo: a definirti artisticamente non è solo quello che fai, ma anche di quello che escludi di fare. Abbiamo cominciato a lavorare alla vecchia maniera, su dei testi non teatrali, i due grandi romanzi Satyricon di Petronio e Metamorfosi di Apuleio. Però quel che a volte succede è che, se vuoi innovare, ti trovi a tornare su qualcosa di apparentemente più convenzionale, per cambiarlo dall’interno. Per me è stata fondamentale la lettura dei Vagabondi, la raccolta di racconti giovanili di Gor’kij, soprattutto per definire il personaggio del pellegrino Luka. Ne “L’albergo dei poveri” c’è l’elemento esterno dato dal fatto che questi personaggi non hanno fissa dimora e poi c’è un modello di narrazione essenzialmente dialogico. Luka non è propriamente un narratore, è una persona che racconta se qualcun altro gli chiede di farlo”.
Massimo Popolizio “E i racconti qui sono quasi sempre di ricordi e sogni. Ma la domanda è: “sono veri”? Chi è questo Luka? Un cialtrone? Un profeta? Di questo spettacolo, comunque, si può parlare letterariamente, ma cambia quando lo vedi, quando vedi i personaggi vestiti, quando li vedi muoversi. Del copione abbiamo fatto otto o nove versioni; quella di settembre era di 78 pagine ed era fantastica. Ma in scena non funzionava. Alla radio avrebbe funzionato, ma qui la questione è domandarsi sempre “chi vede chi?”. Una scena è vista da chi? A quale scena vista ciascuno risponde? Dove stanno gli altri mentre si svolge questa o quella scena? Noi abbiamo immaginato come un “sottomondo” in cui succede ciò che succede nel mondo: sono sedici personaggi sono sedici tipologie umane che potresti trovare nel mondo “di sopra” e le vedi agire in quello “di sotto”.
Cattiveria, amore, morte, violenza, invidia, patetismo, trasporto, cialtroneria… come diceva Emanuele, è come se salisse su un vascello. E la scena – la sala dell’Albergo, somiglia proprio alla pancia di un vascello: sottocoperta succede tutto ciò che succederebbe sul ponte. Io agisco da regista in un lavoro di attori, fatto per attori; non è una dimostrazione intellettuale di ciò che facciamo, è un lavoro fondamentalmente pratico, artigianale, incarnato ed estremamente complesso. Sedici persone hanno altrettanti diversi motivi, personalità, passati, corpi. Io credo che non importi capire esattamente cosa, ma attraverso un come io capisco il cosa. Attraverso una disperazione io capisco quel personaggio; magari non capisco perché sia disperato, ma capisco che qui dentro c’è disperazione. Io poi lavoro per montaggio. È un lavoro molto musicale ed estremamente rapido; non veloce, ma rapido, che è un’altra cosa. Rapidità e fretta sono due forze diverse. È una visione sempre cinematografica, fatta di primi piani, secondi piani, campi larghi, sistole e diastole. E questo dà una dinamica. Usando le parole di altri scritte più di un secolo fa bisogna certo domandarsi che cosa quel testo possa dire oggi. Noi abbiamo preso il materiale di Gor’kij e lo abbiamo esasperato innestando delle micro-inserzioni di altri testi e di altri autori: Čechov, Florenskij, Tolstoj, Puškin, dello stesso Trevi, persino di Cormac McCarthy. Questo innesto era necessario per dare ancora più spazio ai personaggi, non ha aumentato il volume delle pagine – che anzi si è ridotto – ma quello dei personaggi, aiutandoli a emergere”.
Emanuele Trevi “Il volume non è di certo determinato dalla quantità di parole, ma dalla densità e Gor’kij è un caso esemplare: per dargli più volume devi togliere molte parole”.
Massimo Popolizio “Tra tutti gli spettacoli che ho fatto, forse questo è il personaggio più difficile, perché mi sto chiedendo ancora: con che faccia lo interpreto? Che faccia ho? Per un attore è fondamentale. E allora una barba lunga, i capelli tirati indietro, gli occhiali scuri, vestito da pellegrino con le sneakers e la radiolina. E tutti i personaggi sono inventati. Abbiamo scoperto che meno naturalistici siamo, più veri risultiamo”.
A cura di Sergio Lo Gatto
“Il retaggio più autentico di Maksim Gor’kij”
“La parte più autentica del suo retaggio – a metà strada tra Leskov e Čechov – è forse quella che ci restituisce la potenza espressiva del suo sguardo puntato senza filtri sulle moltitudini di emarginati o sul mondo della più gretta e inerte borghesia russa. Le sue creature letterarie uccidono e filosofeggiano, percorrono in lungo e in largo la Russia delle due capitali e quella delle campagne, parlano per aforismi e allegorie, sempre in bilico tra perdizione e cinismo, misericordia e tracotanza, inabissate nei meandri della disperazione o guidate dalla volontà di riscatto, alla perenne ricerca del significato della vita. Alla compagine dei reietti appartengono anche i personaggi dell'Albergo dei poveri, inquilini di un purgatorio in terra tra i più dolenti, dove “onore e coscienza” sono un lusso da ricchi”.
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