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Alcune riflessioni su To be or not to be
di Antonio Calenda
«Sono passati più di vent'anni da quando ho visto Vogliamo vivere di Ernest Lubitsch rimanendo subito colpito dalla levità e dalla carica simbolica del film: credo di poter dire che fin da allora ho iniziato ad accarezzare l'idea di trarre dallo stesso soggetto un lavoro teatrale.
Ho amato molto To be or not to be proprio perché ritengo che offra una bella e struggente elegia del mondo dello spettacolo, un leggero e dolce apologo su quanto nella vita sia necessaria la poesia. E nel nostro tempo, in cui il mondo della cultura e dell'arte sembra destinato a orizzonti sempre più cupi, questo spettacolo offre una metafora valida e nient'affatto scontata dell'arte contemporanea, minacciata dalla negligenza, oppressa dalla volgarità.
To be or not to be è stato il mio primo lavoro con un precedente cinematografico: il testo su cui abbiamo lavorato però, pur mantenendo una corretta fedeltà al soggetto, se ne allontana anche, assumendo una propria legittimità teatrale. Merito del lavoro minuzioso di Maria Letizia Compatangelo che - ottenuti dalla vedova di Lengyel i diritti - ha composto una commedia piacevole ed efficace, che pone in luce non solo i lati esilaranti ma anche quelli delicatamente malinconici e surreali della storia. In tale dualità ravviso una dimensione fondamentale della piéce: la vorticosa manovra degli attori che sconfiggono i nazisti grazie alla loro arte, al di là del significato metaforico, adombra anche inquietudini e profondi segni di amarezza, lascia intuire l'imperscrutabile che appartiene alla vita. La drammaturgia assume così una complessità ricca di induzioni.
Su questa materia abbiamo agito con entusiasmo, impreziosendo la messinscena - grazie alla felice collaborazione con il Premio Oscar Piovani - con due romanze molto belle da lui composte proprio per lo spettacolo, che Daniela Mazzucato interpreta magistralmente.
E se è vero che To be or not to be è anche un inno all'arte dell'attore, mi piace sottolineare che qui ho avuto la fortuna di poter contare su un cast molto preciso: non è cosa scontata, poiché spesso non si riesce a realizzare l'aspirazione di creare una compagnia che possieda aderenza con i personaggi. Invece, Giuseppe Pambieri - che dirigo per la prima volta - è un Ian Tura a mio avviso perfetto, come anche Daniela Mazzucato, un'interprete finissima ed elegante, molto dotata nella recitazione, nel gesto oltre che nella sua straordinaria voce. Pregevoli sono anche le interpretazioni di Fulvio Falzarano, di Umberto Bortolani, punti di riferimento nella compagnia dello Stabile. Guardo con orgoglio a questo assieme, alla piena espressività di Francesco Benedetto, al talento di Venturiero, un attore di belle promesse, alla forza di Carlo Ferreri e alle grandi potenzialità dei più giovani, che crescono passo dopo passo, lavorando al nostro fianco».
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