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Dal 19 al 29 aprile al Teatro India due voci di donna per raccontare i temi del femminicidio, dei conflitti religiosi.
Massimo Di Michele porta in scena i “fondamentalismi”, di ieri e di oggi, con Echoes dell’inglese Henry Naylor
con protagoniste due giovani donne lontane nel tempo ma unite dalla violenza, mentre sullo sfondo si consumano conflitti religiosi e culturali fra mondi diversi, quello occidentale e quello musulmano
Echoes
di Henry Naylor
traduzione Enrico Luttmann e Sara Polidoro
regia Massimo Di Michele
con Francesca Ciocchetti e Federica Rosellini
elementi di scena Sara Patriarca - costumi Alessandro Lai
scrittura gestuale Francesca Zaccaria
musiche Crayon Made Army - foto di locandina Francesco Leggio
realizzazione grafica di locandina Mauro Balletti
Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Con lo spettacolo si inaugura la mostra Food of love/food of larvae
dedicata al tema della violenza sulle donne con le opere di Mauro Balletti e Cristina Gardumi
Dal 19 al 29 aprile al Teatro India debutta in prima nazionale Echoes dell’autore inglese Henry Naylor, per la prima volta sulle scene italiane, una produzione Teatro di Roma che affronta il tema più ampio della violenza sulle donne, del femminicidio, dei conflitti religiosi, attraverso la storia di due giovani donne asservite al volere delle rispettive religioni, e poi dei loro uomini, nell’interpretazione di Francesca Ciocchetti e Federica Rosellini dirette da Massimo Di Michele.
Due monologhi, due storie di guerre di popoli, di sangue e di asservimento, compongono Echoes, spettacolo che intreccia le “vicende” di due donne, vissute in epoche diverse, per raccontare la stessa “vicenda” umana: la violenza dell’uomo, la condizione di privazione della libertà che si trasforma in oppressione, in schiavitù. Sono le storie di Samira e Tillie, separate da un salto temporale di quasi due secoli, che dialogano in un unico racconto, un solo ambiente atemporale, che si propaga sullo sfondo delle guerre di religione e del difficile rapporto tra Occidente e Medioriente.
Due voci ma, a ben guardare, una sola: la stessa lingua, le stesse parole scorrono sulle labbra delle due donne; la distanza temporale si cicatrizza in un tempo presente; la simultaneità delle vicende vissute fonde i dialoghi e confonde i piani narrativi. Tillie è una giovane donna inglese di Ipswich, nel Suffolk, data in moglie ad un ufficiale dell’esercito di Sua Maestà di stanza in Afghanistan, che ritroviamo in viaggio su una nave per l’India in epoca vittoriana (periodo del massimo espansionismo dell’impero britannico); Samira è della stessa città, ha la stessa età, ma vive nel nostro presente e lavora in un negozio di libri da cui partirà per entrare nel mondo delle “mogli della Jihad”, odierno scenario della Siria lacerato dalle guerre.
L’autore inglese Henry Naylor ha costruito questo testo dopo un viaggio di ricerca a Kabul, in cui ha osservato sul campo la realtà della Jihad. Da lì la scoperta del fenomeno delle “mogli della Jihad”, che acconsentono a sposare guerriglieri dello Stato islamico per sostenerli nella missione di conversione dei popoli infedeli. «Perché mettere in scena Echoes? Perché i temi della violenza sulle donne e del femminicidio sono relegati allo spazio stretto della cronaca nera di un telegiornale. Violenza sulle donne vuol dire privazione di azione, di parola, di scelta. A venire a galla sono i fatti che si concludono in un finale tragico – racconta il regista Massimo Di Michele, artista molto sensibile al linguaggio del corpo, oltre che all’importanza della parola – Echoes propone di colmare questo vuoto, riaccendendo una luce sulla dimensione umana delle due vicende. Storie di violenze, certo. Eppure il testo di Henry Naylor non lascia spazio a vittimismo o retorica, che si manifesta come un’amara riflessione sulla contemporaneità che è, al contempo, grande occasione di crescita. Così, affronto il lavoro lasciando che siano i soli fatti a parlare, le azioni, le vicende raccontate dalle voci delle due protagoniste. Eliminando valutazioni morali, rinunciando a chiavi interpretative: nessun buono, nessun cattivo; lascio che siano i fatti, nella loro disarmante crudezza, a fare breccia negli occhi e nelle menti degli spettatori, con lo stesso scalpore di corpi nudi alla luce del sole. Quale modo migliore se non quello di annullare lo spessore materico del luogo in cui la vicenda si svolge? Astrarre la narrazione in un non-luogo in cui si affievoliscono le coordinate spazio-temporali per lasciare il posto agli eventi. Un unico ambiente asettico in cui le loro voci, lontane eppure vicine, possano rincorrersi, dialogare, trasformarsi in una sola voce di Donna condivisa a metà tra due Corpi».
In questi due scenari paralleli si muovono le protagoniste, donne e mogli, intrise di ideali religiosi, ritratte nello slancio verso un’idea alta di missione. Lontane temporalmente ma unite dal bisogno di emancipazione e di libertà, dalla necessità di vivere un presente migliore, Samira e Tillie si cercano e si ritrovano in un “groviglio di emozioni” inestricabili che sulla scena si traduce in un “groviglio” di tubi gialli gialli (ideato dall’artista Sara Patriarca), elementi con cui le due donne dialogano cercando salvezza e protezione, rimanendone spesso incastrate e immobilizzate, come in un vortice di relazioni e dipendenze. L’una l’eco dell’altra, vivono la condizione di subalternità nei confronti dei rispettivi mariti, che le obbliga all’obbedienza servile nei confronti di un uomo-padrone trasformandole in muto strumento di procreazione senza diritto di parola. «Sono fermamente innamorato della fisicità dell’attore della sua plastica consistenza materica. Il muoversi, il camminare, ogni gesto rappresentato è un “fatto” allo stesso modo degli eventi narrati. Pertanto – continua Di Michele – ho ritenuto fondamentale la collaborazione, per la scrittura gestuale, della danzatrice Francesca Zaccaria e, per la realizzazione dei costumi, di Alessandro Lai, immaginando due donne dalla femminilità mostrata ma mai esibita, intente a rivelarsi nella propria nudità che svela una fragilità palpitante. L’eco di Samira e Tillie è accompagnato, infine, dalle musiche originali del giovane gruppo Crayon Made Army».
Con lo spettacolo si inaugura la mostra Food of love/food of larvae dedicata al tema della violenza sulle donne con le opere di Mauro Balletti (artista di fama internazionale e assai noto per essere il fotografo ufficiale di Mina Mazzini da oltre quarant’anni) e Cristina Gardumi, giovane, e affermata, artista. Di fronte alla crudezza del racconto delle due protagoniste dello spettacolo, donne ribelli che cercano la loro personale redenzione in un mondo dominato dal maschio, Mauro Balletti e Cristina Gardumi offrono al pubblico la loro visione dell’universo femminile, con tutta la sua dolcezza e la sua rudezza, le intime contraddizioni e i dilemmi. La mostra prende la forma di una conversazione a due voci, uno scambio dialogico sui “massimi sistemi della donna”, due punti di vista inevitabilmente diversi sulla femminilità. Balletti affronta la tematica con il suo sguardo adulatorio e assolutamente incantato dalla magia dell’archetipo femminile. Da sempre considerata nelle varie arti come emblema dell’arte stessa, Balletti ne sottolinea l’aspetto di unica creatrice di vita e di armonia. Non a caso la paura maschile di questo magico potere femminile è stata spesso causa della violenza fisica e psicologica di cui la donna è stata vittima per secoli. Balletti parla del potere femminile e della sua vittoria totale nell’immagine artistica, immaginando che sia presto una totale vittoria civile. Per Gardumi la femminilità è un privilegio, la sorgente dell’istinto a cui tutta l’umanità dovrebbe più spesso affidarsi senza remore. Il linguaggio apparentemente innocuo dell’illustrazione le permette di porre al pubblico domande scomode, provocatorie, tese a mettere in luce il grande dubbio: quanto la donna subisce dal maschio e quanto desidera subire per sentirsi piena, assolta dalla colpa di essere semplicemente se stessa? Qual è il confine tra la vittima e il carnefice?
Sinossi ECHOES
Tillie è una ragazza vivace e colta, la sola preoccupazione del padre è che riesca a trovare un marito benestante che la renda madre. Sposa un Luogotenente che non ama ma che seguirà a Kabul, in Afghanistan, e che non renderà mai padre. Un giorno passeggiano insieme al mercato, un vecchio clochard l’afferra per un braccio, il marito si precipita sul barbone frustandolo sul viso. I due discutono e lui per zittirla le dà un pugno. La notizia dell’aggressione al barbone è sulla bocca di tutti, ognuno crede che questi incivili debbano essere puniti. Tillie si sente soffocare, si nasconde in un burka e va in città a scusarsi con il barbone. L’incontro si rivela illuminante: conoscerà la povertà e le condizioni disperate in cui riversa la gente. In nome del commercio, l’Inghilterra ha affamato il popolo. A casa trova il marito ubriaco e coperto di fango, che le intima, in caso qualcuno avesse chiesto, di testimoniare di essere stata con lui tutta la sera. In cittàà c’è tensione alla notizia che degli uomini abbiano stuprato due ragazze. La gente è inferocita, la Cavalleria tenta di sedare la rivolta con le armi. Tillie nel suo burka assiste agli scontri e si dirige a casa del Delegato inglese dove si trova il marito. Entrata nel cortile si accorge che i due sono intenti a divertirsi con delle prostitute. Lei lo accusa di aver causato la rivolta popolare, lui le rinfaccia di non avergli dato dei figli. La notte prima, infatti, lui e un Capitano ubriachi avevano abusato di due ragazze. Tillie si getta tra la folla in tumulto e grida i nomi dei responsabili dello stupro, aizzando la massa verso la casa del Delegato. La gente fa irruzione nel luogo, la residenza viene data alle fiamme, Tillie trova il marito nascosto in un tappeto e lo ammazza ferocemente.
Samira è una studentessa musulmana che lavora in libreria, vorrebbe trasferirsi in Siria, trovare un marito e unirsi al Califfato. Tutto comincia quando la sua migliore amica Beegum le dice che si parla di loro, dei musulmani solo per gli attentati o le decapitazioni. Nessuno si pronuncia sui 6 milioni di rifugiati siriani, tanto meno sulle stragi di civili o sui missili lanciati contro interi villaggi. La Jihad è la soluzione: unirsi al Califfato l’unico modo per far vedere ai “Kafir”, i non musulmani, cosa significhi prendersi cura dei sofferenti. Con altre ragazze partono per Raqqa per diventare delle perfette mogli siriane. Beegum entra nella polizia femminile. Samira incontra suo marito Akeem, è il momento del rito pre-nuziale in cui dovrà mostragli il viso, lui la vede e la sposa. Samira vive in casa con altre due donne: la prima moglie e una ragazzina di tredici anni, una prigioniera Yazidi. La prima notte di nozze lui la sodomizza. Il giorno dopo vedono delle teste di “infedeli” che marciscono al sole. Rientrati a casa litigano, non c’è fede che possa giustificare un atto così inumano, sostiene Samira. Lui se ne va. Mesi dopo lei avrà un aborto spontaneo. Questo non ha nessuna importanza per il marito, che la obbliga a guardare video in cui fa saltare in aria le teste di “pagani”. Lei si ribella e si ritrova picchiata e stuprata. Samira decide di scappare. Il marito nel frattempo trascorre la prima notte di nozze con la nuova moglie tunisina. Samira fa irruzione in camera da letto imbracciando un kalashnikov, spara, il grilletto è bloccato, a quel punto da dietro entra la prima moglie con una granata in mano che si getta sull’uomo, i due saltano in aria. Samira decide di fuggire portandosi Yazidi e decide di camuffarsi da uomo. Passano tre checkpoint usando la carta d’identità di Akeem, al quarto c’è Beegum, la sua migliore amica, che la scopre. Samira finisce in cella per essere processata. Beegum le fa visita, si confrontano su Allah e sul Corano, le loro visioni sono distanti. Sola in prigione, afferra la spilla che lega la sua tunica e la fa penetrare nelle vene dei polsi. Lentamente muore.
Lo spettacolo si inserisce nel percorso di stagione Anatomia del potere ovvero rappresentazioni e trasformazioni del mondo, quelle della coscienza collettiva e quelle per silenziare il pensiero. Cuore del percorso Antigone di Federico Tiezzi; la stessa tragedia, ma vista dagli occhi del figlio di Creonte, Emone, che Antonio Piccolo riscrive sul ritmo di un napoletano reinventato; Il Sindaco del Rione Sanità secondo Mario Martone, il suo primo Eduardo dal forte senso politico e civile in dialogo con il Nest di San Giovanni a Teduccio; sulla “democrazia”, ovvero sulla possibilità o meno dell’uguaglianza, Romeo Castellucci interroga Alexis de Tocqueville con Democracy in America. Seguono Il Capitale di Karl Marx per la regia di Marco Lucchesi; Dieci storie proprio così di Emanuela Giordano e Giulia Minoli. Nella sezione anche: Re Lear di Giorgio Barberio Corsetti; Riccardo II di Peter Stein, Macbettu di Alessandro Serra, Viva l’Italia scritto da Roberto Scarpetti e diretto da César Brie.
INFO TEATRO INDIA_ Lungotevere Vittorio Gassman (già Lungotevere dei Papareschi) - Roma
Biglietteria Teatro di Roma _ tel. 06.684.000.311/314 _ www.teatrodiroma.net
Biglietti: intero 20€ _ ridotto 14€
Orari spettacolo:
19 - 20 - 21 - 26 - 27 aprile ore 21
22 - 24 - 25 - 28 - 29 aprile ore 19
durata: 1 ora e 10 minuti
Ufficio Stampa Teatro di Roma:
Amelia Realino tel. 06.684.000.308 I 345.4465117
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