documenti collegati
Cosa significa portare in scena oggi un romanzo come Delitto e castigo?
Significa innanzitutto cercare il modo di rapportarsi a un materiale fortemente arcaico. Scoprire come padroneggiare l'inattualità del tema trattato. Le domande che ci si poneva nel XIX secolo non sono più formulate oggi con lo stesso pungente impulso di trovare una risposta. Il dubbio se sia giusto o meno uccidere non è più un argomento così attuale; ciò probabilmente dipende dal modo in cui la nostra società si è evoluta e si sta evolvendo. È importante quindi riuscire a dare nuova linfa a queste domande, e nuova vita all'argomento che stiamo affrontando. Al tempo stesso però ho voluto rispettare la grande ironia che caratterizza le opere di Dostoevskij, anche se nel romanzo in questione è quasi assente. Bisogna ricordare, tra l'altro, che si è creata una vastissima mitologia a partire da questo romanzo: sono molte le interpretazioni che se ne sono fatte. In tal senso posso dire che il dialogo che noi intraprendiamo qui non è solo un dialogo con l'autore e con il romanzo, ma con la sua mitologia e con tutte le numerose versioni e differenti letture che gravitano attorno a Delitto e castigo.
È rimasto fedele al testo, e quindi alla scrittura di Dostoevskij?
Assolutamente sì, non c'è stata alcuna riscrittura.
È stato effettuato un processo di attualizzazione?
Il testo è stato tagliato e ricomposto senza subire però modifiche sostanziali. Sono state eliminate delle scene e per altre è stata portata avanti un'operazione di montaggio, ma non ho voluto trasporlo ai giorni nostri perché altrimenti sarebbe stato inevitabile riscriverlo. Gli eventi raccontati si svolgono in Russia proprio per evitare di dover cambiare i nomi dei personaggi, delle strade e delle città. È come se proponessimo due realtà, quella del romanzo e quella contemporanea, a cui permettiamo di guardarsi come di fronte a uno specchio. Le mettiamo vicine l'una all'altra, e osserviamo quali sono i punti di contatto tra ieri e oggi, dove coincidono e quale tipo di dialogo si instaura tra loro. Vorrei inoltre che una considerevole parte del lavoro fosse realizzata dallo spettatore, investito del compito di completare dentro di sé ciò che vede sulla scena.
A proposito del lavoro sul testo, quali criteri drammaturgici sono stati seguiti per ottemperare all'operazione di riduzione del romanzo?
Quando mi approccio a una riduzione di questo tipo, prima ancora che inizino le prove, solitamente preparo uno schema, attuo una compressione del testo, come se il materiale di lavoro venisse stipato all'interno di una struttura su cui poi ci si appoggia per costruire lo spettacolo. Questa struttura serve appunto come base di partenza. Dopodiché, durante le prove, continuo a lavorare sul testo fino a che prende forma e acquista corpo tramite una costante verifica sul campo. Voglio dire che la versione teatrale del romanzo nasce insieme allo spettacolo. Ecco perché non guardo mai ai testi dei miei spettacoli come opere a se stanti, con una loro vita indipendente dalla scena. La drammaturgia è per me una parte inscindibile del lavoro teatrale, nasce sempre in funzione della scena. Il romanzo dunque è stato ridotto soltanto allo scopo di allestire lo spettacolo, e il lavoro di elaborazione e di riduzione del testo ci ha accompagnati per tutto il periodo delle prove.
Durante le prove si è spesso servito di contaminazioni letterarie e cinematografiche. Per quanto riguarda la creazione dello spettacolo è stata utile l'influenza di altre opere?
Sicuramente il mio lavoro subisce di continuo influenze e contaminazioni. Io seguo molto il cinema e leggo davvero tanto, e credo che non sia possibile cancellare tutto questo dalla mia mente, ignorare tutti gli stimoli che immagazzino dentro di me. Se però durante le prove ho fatto degli esempi inerenti al cinema o ad altro, è stato solo per offrire delle suggestioni agli attori. Sono aneddoti o modelli che mi servono in quel momento per parlare un linguaggio comune, al fine di aiutare gli attori ad andare nella direzione giusta, a ottenere un dato risultato e raggiungere una precisa qualità recitativa.
Ha detto più volte di voler «cercare le note musicali» all'interno del testo per capire come suona lo spettacolo. Cosa intende e in che modo questo ha influenzato il suo lavoro?
Il principio che sta alla base del mio lavoro è l'ascolto: gli attori devono sapersi ascoltare. Ogni attore diventa così un'orchestra e il direttore che la dirige. Non esiste un modo corretto di rapportarsi a Dostoevskij, lo si può “suonare” in qualsiasi maniera, ma gli attori devono essere in grado di ascoltare se stessi all'interno dello spartito prescelto, e dunque capire come loro suonano dentro Dostoevskij. L'attore deve trovare il proprio accordo, la giusta nota, ovvero sentire, e quindi comprendere, perché si trova all'interno di questa sinfonia, cosa lo unisce a Dostoevskij. In fondo tutti noi, in ogni momento della nostra vita, scegliamo l'intonazione che riteniamo più giusta, anche senza accorgercene decidiamo quale nota suonare in un determinato contesto. Io stesso uso una nota diversa per ciascuno degli attori con cui lavoro, sviluppando di conseguenza un differente tipo di relazione. Ecco, anche per quanto concerne il dialogo con Dostoevskij bisogna trovare la nota più adatta, quella che non esprima un'eccessiva dipendenza dal testo ma che ci permetta di mantenere un certo riguardo per il romanzo e per il suo autore, un riguardo che non limiti però la nostra libertà man mano che ci addentriamo nel processo di creazione. La scrittura di Dostoevskij è molto specifica, usa un linguaggio lontano da quello a cui siamo abituati oggi. Bisogna evitare di interpretare i tipici personaggi dostoevskijani nel rispetto forzato di una certa tradizione, al contrario, solo nell'istante in cui l'attore trova se stesso all'interno del materiale su cui lavora è in grado di dare qualcosa, e pur rimanendo se stesso riesce a pronunciare le parole di Dostoevskij nel modo più vero.
Da cosa nasce la scelta di trasformare Raskol'nikov in un immigrato africano?
Nel romanzo il tema della cristianità assume un valore considerevole, si avverte gravare su ogni pagina il peso di questi duemila anni di cultura cristiana. Nel XIX secolo i dubbi che si pone un personaggio come Raskol'nikov costituivano una preoccupazione reale per i lettori dell'epoca, ma oggi tutti i suoi tragici tormenti risultano per noi abbastanza “comici”, esagerati. Il calvario del protagonista, legato all'omicidio, all'ammissione di colpa, non può essere reso, al giorno d'oggi, se non attraverso una parodia. Così ho cercato di dare a tutta questa storia un senso piuttosto ironico. Sono arrivato alla conclusione che Raskol'nikov avrebbe dovuto mostrare un certo grado di infantilismo e di sincerità, sia nel momento dell'omicidio che quando Sonja lo spinge a confessare il suo delitto. Il nostro Raskol'nikov vive un conflitto con la società perché proviene da un'altra cultura il più possibile lontana dalla nostra; non è in grado di provare rimorsi di coscienza nei confronti della sua vittima… ed è un ragazzo nero. Voglio essere sincero: in questa sede non ho alcuna intenzione di mostrarmi a tutti i costi politically correct. Forse che in Europa non ci sia ancora il razzismo? C'è, è vivo, così come in Russia esiste ancora l'antisemitismo. Nonostante la dittatura nazista, la Storia non ci ha insegnato nulla, certe ideologie sono ancora presenti. Perché dovremmo fingere che non sia così? È un dato di fatto, una questione psicologica. Fa parte del nostro cervello, della natura umana. Così è, bisogna parlarne. Dal mio punto di vista il teatro, l'arte in generale, non deve insegnare niente, deve provocare. E anche questa ovviamente è una provocazione. Se avessi messo in scena la storia di un ragazzo bianco che ammazza una vecchia, e pronuncia addirittura motti che inneggiano al fascismo, non avrei ottenuto lo stesso risultato. A questo punto tanto varrebbe compatire persino Marmeladov o Mikolka. In Dostoevskij, all'interno del sogno di Raskol'nikov, questo tale Mikolka uccide un cavallo impietosamente, senza una ragione e in modo crudele. E adesso io, per essere politically correct, dovrei rappresentarlo come una persona equilibrata? No, Mikolka non può essere così, il nostro Mikolka è una persona visibilmente ritardata, che porta addosso i segni di un mancato sviluppo dell'intelletto. Ho cercato di mettere in scena la disumanizzazione di questa storia. Proviamo a immaginare che questo Mikolka sia un minorato mentale e che proprio lui, nella maniera più efferata possibile, uccida davanti i nostri occhi un animale indifeso e senza colpa. Ecco una cosa su cui riflettere! Ecco la provocazione! Proviamo a immaginare che la donna sia stata uccisa da un giovane ragazzo nero, bello, in forze, che si chiede perché questa ricca e insopportabile vecchia bianca debba vivere. Per quale principio, secondo quale regola lui dovrebbe astenersi dal compiere un gesto simile? Nel romanzo di Dostoevskij il protagonista non ammette mai la propria colpa a livello razionale, lui davvero, nel modo più onesto possibile, non comprende il suo peccato. Dostoevskij lo costringe allora ad ammalarsi, e la malattia diventa l'unico tormento reale di Raskol'nikov. Io ho voluto privarlo di questa malattia, e ciò che ne è rimasto è una persona che dal suo punto di vista si trova nel giusto. Mi interessa mostrare come tutta questa retorica cristiana non sia altro che una violenza perpetrata ai danni di un'individualità libera e viva. Questo tipo di ribaltamento mi sembra davvero degno di nota, credo che costringa a riflettere, o perlomeno pare che dia la possibilità di guardare questo romanzo da un'altra angolazione.
Quindi possiamo dire che il suo tentativo di provocare il pubblico sia più che altro un mezzo per spingere gli spettatori alla riflessione…
Ovviamente sì. Io credo che il teatro, almeno fino a un certo punto, debba sempre dare fastidio. In generale il teatro è un territorio di libertà, dove ci si può porre qualsiasi domanda, quindi sì, la mia provocazione deve far sentire gli spettatori liberi di riflettere.
Che tipo di lavoro ha portato avanti con gli attori in merito alla costruzione dei personaggi?
Ho una mia personale opinione su ciò che si può definire una buona o una cattiva recitazione. Dovunque io mi trovi, che sia Mosca, Varsavia, Vilnius, cerco sempre di liberare gli attori con cui lavoro da tutti i cliché, dal manierismo che col tempo si appiccica addosso. Non creo dei caratteri, quello che mi serve è la presenza concreta di persone reali sul palcoscenico. Fondamentale per me è che gli attori non si sentano limitati dai confini dei personaggi. Questo è ciò di cui mi occupo. Inoltre durante le prove dedico una grande quantità di tempo al lavoro con gli attori, perché sono convinto che sia questo il compito principale di un regista.
Tenendo conto della distanza linguistica e della diversa cultura teatrale, com'è stato lavorare con attori italiani?
In realtà più o meno dappertutto i problemi sono gli stessi. Il teatro è una cosa talmente universale che le differenze non sono poi così grandi.
Ha dichiarato di volersi allontanare da ogni formale influenza di ambientazione russa. In tal senso come si è sviluppata la sua collaborazione con Larisa Lomakina per quanto concerne la scenografia e i costumi?
Io e Larisa lavoriamo insieme da parecchio tempo, ormai ci conosciamo molto bene, alle volte ci capiamo persino a livello intuitivo, senza bisogno di tante chiacchiere; il che è positivo perché tendo sempre a immischiarmi nel lavoro dello scenografo per poterlo indirizzare. Per me è essenziale che la scenografia crei un certo tipo di atmosfera e che permetta diverse possibilità, aprendosi a vari utilizzi, piuttosto che racchiudere in sé un significato, un certo simbolo che comunichi una determinata visione del lavoro.
Inviterebbe Dostoevskij a vedere lo spettacolo?
Sì, e sono sicuro che scrittori del suo calibro, dotati di grande ironia, siano in grado di capire che il teatro si avvale di un altro linguaggio rispetto alla letteratura; è un'arte viva, con un altro campo d'azione, con regole diverse. Un grande scrittore, come del resto era Dostoevskij, sa che nulla potrebbe mai rovinare un suo testo.
News
-
Visita spettacolo al Teatro India
-
Il compratore di anime morte
-
“L’eco der core” Roma com’era, Roma com’è nei testi e nelle canzoni di Roma
-
Visita spettacolo al Teatro India
-
Una giornata fatale del danzatore Gregorio Samsa
-
Roma in versi
-
È nato il nuovo canale Instagram della Fondazione Teatro di Roma!
-
Teatro di Roma, nominato il nuovo Consiglio di Amministrazione
-
Il Teatro di Roma diventa Fondazione
-
Carta Giovani Nazionale
-
Art Bonus - Sostieni il tuo teatro!