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Il mondo è doloroso e per questo motivo, poco a poco, alle volte, ci si disconnette da quanto ci fa male. Se non lo facessimo sarebbe
impossibile vivere.
Ho l’impressione che oggi la disconnessione dall’altro, da quanto gli altri vivono e sentono, sia fortissima. Viviamo nella necessità di trovare pace e per questa ragione sentiamo di doverci allontanare dal dolore altrui.
A volte anche dall’amore che gli altri possono provare per noi.
In questo lavoro appare con forza l’idea della disconnessione tra le persone. La disconnessione è proprio il meccanismo disfunzionale
alla base della drammaturgia di Emilia. Lo sguardo di Emilia ci serve per mettere insieme i pezzi di questa storia, per ricostruirla.
Mi hanno spesse volte chiamato “esperto di famiglie", ma per me la famiglia non è altro che un’occasione per poter parlare di molte
altre cose. Non mi importa in sé l’aspetto familiare, ma quanto si può generare in un nucleo di persone strettamente connesse. La
loro rete segreta di relazioni.
Ho iniziato a scrivere Emilia dopo aver incontrato dopo molti anni una signora che era stata mia tata da bambino. Ricordava moltissime cose di me, cose che io avevo completamemte dimenticato e questo ha fatto nascere in me una specie di senso di colpa per questa sproporzione dell’amore.
Sono sempre stato commosso da quelle persone che hanno un ruolo tale per cui scelgono di occuparsi completamente degli altri.
Essendo un lavoro, peró, si tratta di amore a pagamento. Ecco, il personaggio di Emilia ha bisogno di prendersi cura degli altri. Ed è
proprio il fatto che qualcuno abbia bisogno di lei che la mantiene in vita.
Claudio Tolcachir
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