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Il Sole 24 Ore, 8 aprile 2007
Giulietta e Romeo con casco e borchie
Ormai il pubblico si accosta ai classici del balletto narrativo con una certa bonomia, lieto di ritrovare musiche e storie note e ben poco preoccupato di eventuali tradimenti coreografici, tematici e musicali. Confortati da tutto ciò Mauro Bigonzetti e Fabrizio Plessi hanno creato per l'Aterballetto un Romeo e Giulietta (rimbalzato agli Arcimboldi di Milano, quasi al termine di una lunga tournée per ora soprattutto nazionale) che taglia con l'accetta il dramma shakespeariano. Il coreografo ha selezionato quattro leitmotive - amore, potere, passione, morte -, l'artista visivo ha specularmente scelto i quattro elementi primordiali - fuoco, aria, terra, acqua - per adornare una danza dal disegno semplicissimo, anzi pop che parte dalla morte (alcune bare con danzatori redivivi sopra i quali vengono proiettate macchine sanguigne) e termina con una profezia di nuovo intinta nel sangue.
Intanto venti protagonisti, quasi sempre in scena contemporaneamente, si trasformano, donne incluse che sono la metà, in machi da motocicletta, appartenenti a qualche gang, a qualche disgraziato consesso del sabato sera in borchie e pellami neri e si trastullano con i loro caschi (ai piedi! come nell'assolo iniziale, variamente ripreso). Oppure si combattono senza armi, saltando l'uno contro l'altro - petto contro petto - in un tema dinamico ripetuto anche nei passi a due d'amore. Qui i protagonisti discinti, in costumi color carne, si intrecciano in forme muscolari, feroci e a effetto, come se non fossero guidati dal sentimento bensì da un meccanismo a orologeria. Al tempo dell'aggressività e della violenza (la lotta tra Montecchi e Capuleti non distinguibili), segue l'ora dei buoni sentimenti, magari ingabbiati in solidi trasparenti, ove oltre alle coppie in vetrina ruotano grandi eliche.
Il coreografo gioca sulla rifrazione dei protagonisti: nessuno è Romeo e Giulietta e tutti quanti lo sono; nessuno è il torvo Tebaldo e tutti quelli vestiti di pelle nera lo diventano; naturalmente non c'è posto per i personaggi complessi come Mercuzio, per pretendenti sfortunati come Paride o genitori oppressivi e ipocriti. Ma va bene così: una scelta pop, dagli effetti plateali, non pretende sfumature. Peccato che l'utilizzo di una partitura scandita per scene ormai entrate nell'immaginario visivo e uditivo come quella di Sergej Prokof'ev rovini non poco la festa con incongrue ripetizioni delle scene di duelli ma anche con depistaggi infantili. Nell'afflato spirituale della scena del matrimonio, il coreografo finisce per far benedire la sola Giulietta consegnandole da parte non si sa di chi, un casco. L'oggetto simbolico assurge così a vero busillis della vicenda: servirà come protezione (dalla passione spericolata e perciò da evitare: discutibile assunto di partenza) o come ingaggio nel clan dei bellicosi? Chissà.
Giunti al finale due danzatori si staccano dal gruppo in proscenio e scalano l'alto muro diviso da una cascata che nel frattempo è calato sulla scena; proprio là, in cima, si protendono l'uno verso l'altro e il virtuale gettito d'acqua cristallina che li divide si tinge di sangue. L'epilogo un po' a cartone animato, sigla un balletto circolare - da morte "già consumata" a morte "preannunciata" - sostenuto dalla bravura dei ballerini e da una danza che non lascia spazio a sensualità e grazia per prediligere i toni freddi di una forma puntigliosamente "estetica".
Marinella Guatterini
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