Patrizia Zappa Mulas racconta una piccola storia avvenuta in un paese islamico mettendo
in gioco il corpo dell’Occidente. Per questa via solleva una delle più
grandi inquietudini del nostro tempo: la violenza che si continua a
infliggere a un corpo, quello femminile, oggetto di tutte le
contraddizioni dell’umanità. La storia di Ameneh dunque va ben al di là
della storia; sconfigge le frontiere della narrazione per aprire un
enorme varco ovunque i rapporti di genere trovano la loro risoluzione
nella violenza verbale e fisica. Anche il lancio dell’acido solforico,
strumento di offesa che mescola modernità e patriarcalismo e cancella il
viso femminile, può assumere un altro significato: sembra la traduzione
traumatica del velo imposto, perché quel velo è più che un velo, è un
divieto, un muro che cancella il diritto. Così le donne sono condannate a
una specie di martirio, un martirio profano, dove l’uomo non fa che
profanarsi per l’incapacità di vedere l’altro come se stesso: violenza
mimetica che mente a se stessa e il cui velo è quello che l’uomo stende
sulla sua natura.