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La scena è una grande pagina bianca, uno spazio sospeso, un luogo che attende di vivere. È anche una delle “gabbie” di Francis Bacon, artista a cui ci siamo ispirati nella ideazione dello spettacolo.
La gabbia permette di isolare uno spazio tempo astratto in cui poter “dissezionare” le presenze umane che la agiscono. In questo spazio il corpo di un soldato inizia a muoversi e allora, come grattando nella scorza del tempo, riaffiorano schegge di vita, luoghi, azioni, sempre in una forma materica, concreta. Il soldato è un corpo narrante, tragico baluardo di un disperato istinto di sopravvivenza, e non racconta di un solo uomo, ma ci restituisce i diversi istanti di vita di uomini “comuni” nelle condizioni disumane della Prima guerra mondiale.
Le immagini si susseguono a volte sollecitate da un suono, a volte create dalle parole, altre volte ancora guidano il corpo del soldato o ne sono guidate, in una tessitura di linguaggi l’un l’altro compenetranti, senza mai cedere a una descrizione illustrativa.
I tanti corpi che appaiono e si dissolvono nello spazio ci restituiscono la frammentarietà dell’esistenza umana in trincea, lo spaesamento, la solitudine, la perdita di individualità.
Non c’è una storia, non c’è un unico racconto, ci sono squarci di esistenze che la “gabbia” rende precarie, in bilico, sempre in procinto di perdersi e annullarsi.
In quella terra di nessuno il soldato scopre che il proprio sentirsi ancora un essere umano non serve più, anzi diviene drammaticamente un limite, un peso.
La gigantesca macchina industriale della guerra ha scardinato i valori che fino allora avevano governato la vita degli esseri umani.
Maria Maglietta
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