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Una stanza degli specchi è questo Candide di Mark Ravenhill: specchi che riproducono perfettamente o che deformano, e che nella loro fedeltà tradiscono l’immagine originale, ma anche nella loro distanza rivelano verità profonde e censurate.
E non è semplice dire a che epoca appartiene l’uomo Candide di Ravenhill, anche perché nell’arco del testo del drammaturgo inglese, di epoche se ne attraversano molte, ognuna confusa nell’altra, ognuna in cui sembra rappresentarsene un’altra ancora. Appena si riconosce una geografia o un tempo della scena, già la lingua o la l’immaginario evocato sembrano sfuggirgli, e portarci altrove.
Di certo c’è un’idea di civiltà che Ravenhill mette al centro del suo lavoro, e soprattutto in questo il drammaturgo inglese fa sua l’operazione di Voltaire: l’Occidente, la sua ideologia e le sue strutture culturali e di potere, l’idea di democrazia, le sue storture e le sue trappole.
Ravenhill destruttura (o forse meglio: ristruttura) la parabola narrativa del Candide in cinque capitoli, ognuno dedicato ad un diverso scioglimento o una più profonda articolazione del tema centrale del pensiero di Voltaire: l’individualismo anarchico radicale come risposta all’accelerazionismo ottimistico leibniziano.
Si parte nel ‘700 con un Candide alla ricerca disperata della sua amata Cunegonda. Una contessa lo accoglie nel suo palazzo e per rallegrarlo, ma anche per convincerlo a restare con lei, fa in modo di metterlo davantio alla sua propria storia, in forma di recita. Ma rivedere la sua rappresentazione scatena in Candide la voglia di cambiare la sua propria storia.
Il secondo capitolo viene ospitato in un albergo, ai giorni nostri, da qualche parte in Europa. E’ il compleanno di Sophie, presenti tutti i familiari. E’ l’inizio di un’età adulta, ma anche la possibilità di farla finita con tutto quello che c’è stato finora. Candide qui è presente in forma di parole, di sguardi, di squarci nella realtà. Nessuno è Candide, ma tutti provano ad esserlo, Sophie, e poi la madre di Sophie anche: Sarah.
Nel terzo capitolo siamo ancora al presente, e ora Candide però diventa l’ispirazione e insieme l’oggetto paradossale di un racconto cinematografico. È la madre di Sophie a riscrivere la propria storia, a raccontare quel compleanno definitivo, affondando nella crudezza e nel dolore, ma raccogliendo nella tragedia i segni di un futuro ancora follemente possibile.
Nel frattempo il Candide settecentesco ha proseguito la sua vita: sfuggito dalla Contessa arriva a Eldorado, alla ricerca della sua Cunegonda, ma anche nell’accidentale ricerca di un diverso modo di vivere: Eldorado è un non luogo precapitalista, o forse precivile, dove tutto sembra semplice e pacificato. Ma non è questa la vita che può fare Candide, che fugge anche da qui, fugge verso il futuro.
Il quinto atto è ambientato proprio in un tempo posteriore, in un futuro indefinito, in cui l’ottimismo è diventato una specie di botulino con cui riempire l’anima. Rappresentante di questa nuova fase del pensiero postoccidentale è ancora il vecchio maestro Pangloss, morbosamente attaccato alla sua idea di quello che è Bene. In questo futuro si incontrano Sarah, la madre scrittrice, il Candide settecentesco che era stato congelato, e una Cunegonde di 400 e più anni. Tutti insieme, a far finta di essere veri, provando, ognuno a suo modo, a sfuggire alla sua impossibilità di essere ancora vivi.
Candide diventa così l’incorporamento di un pensiero che prova nevroticamente a sfuggire all’ideologia dominante, rappresentata da un Pangloss che sopravvive ai mutamenti storici. E Cunegonde a rappresentare l’oggetto del desiderio, il feticcio di quello che potrebbe essere, il simulacro di una condizione umana migliore, e che con i suoi 400 anni di Storia ci racconta di un’Europa vecchia e confusa in cerca di un ultimo bacio…
Ogni capitolo ha una sua precisa ambientazione, che lo spettacolo riproduce articolando cinque scene molto diverse; a legarle i percorsi musicali, i fili del pensiero, e le parabole dei personaggi. Tutto affiora, per poi sparire, per poi ricomparire ancora.
Un viaggio attraverso i generi – la farsa, la commedia e la tragedia, il musical – compiuto grazie alla scrittura feroce e immediata, spudorata e sempre aderente, di un autore acclamato come il ‘nuovo arrabbiato’, fin dagli esordi con Shopping and fucking, quando cominciò a imporre una nuova idea di drammaturgia.
Non bisogna compiere l'errore di pensare che questa sia solo un’altra versione del Candide. Qui è anche e proprio di Candide di Voltaire che si parla e quindi di qualcosa di molto lontanto, e insieme molto vicino a tutti noi: il pensiero occidentale moderno su cui si sono immaginati e costruiti i valori attuali, le immagini attuali del nostro rappresentarci, che difendiamo o con cui entriamo quotidianamente in conflitto.
In fondo tutto si consuma sempre in quello spazio che si crea tra ciò che siamo veramente e quello che vorremmo essere e quindi come ci rappresentiamo. E' la regola del teatro moderno e tra i primi a incorporarla nei suoi testi c’è Shakespeare. E Ravenhill ci gioca, gioca con Shakespeare, con Candide e con noi, perché sa bene anche lui che le regole il teatro le ha mutuate dalla vita.
Penso che il teatro, sempre, debba metterci davanti a noi stessi senza troppi filtri e ci debba invitare a chiedere chi siamo oggi in relazione alla società che ci circonda, oggi.
5 scene e 2 percorsi che corrono paralleli, uno nel passato l'altro nel presente, che alla fine si incontrano in un probabile futuro come una prospettiva che arriva al suo traguardo e si volta per vedere da dove era partita e quale in effetti, ora, ne sia, il risultato.
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