Scritto e diretto da Patrizia Zappa Mulas
con Fabio Bussotti, Elia Schilton, Luciano Virgilio, Patrizia Zappa Mulas
scene e costumi Francesco Zito
Il testo ha ricevuto la menzione speciale al Premio Riccione 2013.
La vittima è una ragazza bella come il sole che si sta laureando a pieni voti in ingegneria elettronica all’Università di Teheran. L’aggressore è una matricola del corso, un ragazzo di campagna mezzo idiota che s’innamora di lei e la chiede in moglie. Lei lo rifiuta, lui le lancia una bottiglia di acido solforico sul viso – la sfigura e la acceca. È il 3 novembre 2004. Lei si chiama Ameneh Baharami, lui Majid Mohavedi. La loro storia ha fatto il giro del mondo. Invece di sparire come le altre vittime dell’acido, Ameneh si appella alla Shari’a e ottiene, alla fine di un lungo processo, il diritto di versare negli occhi di Majid quaranta gocce di acido solforico: è la legge del taglione, occhio per occhio, alla lettera in questo caso. Una norma arcaica che acquista un significato dirompente in un regime che chiude un occhio sulla pratica tribale dell’acidificazione che è tornata in uso dopo la Rivoluzione Islamica. E soprattutto in una giurisdizione nella quale una donna vale la metà di un uomo: grazie ad Ameneh il valore del corpo femminile è sancito da Dio, e il lancio dell’acido diventa un reato a tutti gli effetti. L’opinione pubblica occidentale esulta, fino al momento in cui Ameneh annuncia la sua decisione di non perdonare Majid – solo la parte lesa ha diritto di graziare un condannato – e di eseguire la sentenza. E qui la coscienza occidentale va in crisi. Ameneh vuole giustizia o vendetta? Chiudi gli occhi ricostruisce questo antefatto emblematico attraverso gli occhi di quell’Europa civile e generosa che si misura con la propria coscienza e con l’incubo della violenza tra i sessi. A Barcellona, dove Ameneh si è trasferita per curarsi, i tre responsabili dell’Associazione contro le pene corporali che l’hanno finora sostenuta, si trovano all’improvviso uno contro l’altro. È 14 maggio 2011, il giorno in cui Ameneh è stata convocata a Teheran per eseguire la sentenza. L’ombra (dubbia e reversibile) della vittima e del carnefice si allunga su di loro e fa esplodere contrasti a lungo covati. Amore, amicizia e valori comuni si rivelano pervasi di violenza, di competizione e di razzismo in un gioco di rispecchiamento del politico nel privato (e viceversa) che oscilla tra Strindberg e Hitchcock.
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