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Tutto per bene è un testo totalmente costruito intorno ad un ambiente nel quale si intrecciano drammaticamente il tema dell'inganno, della convenzione, dell'ipocrisia "borghese". Quanto queste problematiche hanno inciso sulla messa a punto della tua scenografia?
Decisamente tanto. Il nostro spazio scenico è assolutamente claustrofobico; abbiamo adottato un unico spazio per raccontare tre luoghi diversi. Il risultato è che l'azione pare quasi svilupparsi in una prigione, in una sorta di tomba. In effetti, in una prima ipotesi di lavoro, oltre alla tomba che abbiamo in proscenio, pensavamo di ambientare tutto lo spettacolo in una specie di grande mausoleo, poi i contorni del luogo si sono sfumati. Lo spazio che abbiamo progettato ha dei colori molto scuri ed è molto astratto e quindi resta anonimo: un contenitore indefinito. All'interno di questo contenitore prendono vita tre abitazioni: casa Lori, casa Gualdi e lo studio Manfroni. Il contenitore di per sé non obbedisce, dunque, a logiche di ambientazione realistica, non è un "arredo" della drammaturgia; quel contenitore restituisce piuttosto - o evoca - delle dinamiche psicologiche. Il nostro spazio-contenitore racconta precisamente il mondo di cui tu stesso parlavi: è un luogo dell'inganno, della convenzione e dell'ipocrisia borghese. Poi, di volta in volta, questa scatola asfittica viene caratterizzandosi come studio, oppure come casa Lori - definita soltanto da un tavolo - o casa Gualdi - dimora, quest'ultima, ricca e opulenta. Gli oggetti che abitano lo spazio, definiscono via via l'ambiente e il ceto sociale dei personaggi che vivono in quei locali: casa Lori, pur essendo una residenza borghese, è l'abitazione più lineare; casa Gualdi è invece l'interno più sfarzoso, con il grande divano in capitonné, il lampadario Jugendstil e la prima radio del 1924.
Hai avuto dei precisi riferimenti artistici o architettonici nel tuo lavoro?
Sì, il mio riferimento è stato il Neoplasticismo, un movimento che prende vita in Olanda nel 1917 e che ha nella rivista «De Stijl» il suo principale organo di diffusione, così come in Piet Mondrian e in Theo van Doesburg i suoi due principali esponenti. Il Neoplasticismo è ispirato ad un'estetica totalmente astratta e lineare, di impianto fortemente ortogonale, poco sensibile al fascino dei tagli obliqui o alle suggestioni curvilinee. Questa linearità ortogonale mi ha aiutato a dare severità e rigore alle linee guida dell'impianto scenografico, trasformando così lo spazio in una gabbia, una vera e propria prigione. Le linee orizzontali e verticali su cui è costruita la boiserie del "contenitore" scenico proseguono nell'impianto delle vetrate e, alla fine, lo spazio borghese si rivela essere - come dicevo - una prigione, una gabbia.
Ormai tu hai già lavorato a più riprese con Lavia, inaugurando un fertile rapporto di collaborazione reciproca, una collaborazione evidentemente retta su di un dialogo consolidato tra voi. Questa messa in scena ha aggiunto qualcosa di nuovo al vostro rapporto?
Ogni spettacolo che intraprendo con Gabriele aggiunge sempre qualcosa di nuovo.
Ci incontriamo, parliamo, lui mi espone le sue idee e ne nasce un grande progetto soltanto teorico, come fosse un grande schizzo. Da quel momento in poi, una seduta di lavoro dopo l'altra, quel primo progetto si dettaglia sempre più e via via, da semplice progetto, diventa un vero e proprio spettacolo.
Lo scenografo non si limita ha presentare i propri bozzetti alla scenotecnica. Io, personalmente, consegno alla scenotecnica un progetto che è concordato con il regista in base alle sue esigenze, ma i bozzetti non sono tutto; dopo la definizione dei bozzetti comincia infatti il complesso lavoro di progettazione degli esecutivi, ossia la fase operativa che più tutela il lavoro dello scenografo. Per lo scenografo lavorare sugli esecutivi è come per il regista provare uno spettacolo. Ma anche la consegna degli esecutivi non esaurisce il mio lavoro. è comunque solo nel concreto dell'allestimento che nasce effettivamente lo spettacolo. Oggi, con Tutto per bene praticamente chiuso e definito, ancora siamo lì, in scena, a modificare dettagli e particolari: Gabriele lavora con i suoi attori ed io con le mie scenografie.
Alessandro Camera
Finiti gli studi presso l'Accademia di Belle Arti di Brera, deve la sua formazione professionale e artistica alle collaborazioni con Luciano Damiani e William Orlandi.
Per il teatro di prosa firma Scene da un matrimonio di Bergman, Macbeth di Shakespeare, Danza di morte di Strindberg e Il malato immaginario di Molière regie di Gabriele Lavia; Madame Bovary da Flaubert e Maria Stuarda di Schiller, regie di Giancarlo Sepe. Con le regie di Glauco Mauri Variazioni enigmatiche di Schmitt, Il Volpone di Ben Jonson, Il Bugiardo di Goldoni e Delitto e castigo di Dostoevskij oltre musicals come Flashdance, Cabaret e Sweet Charity per la regia di Saverio Marconi.
In campo lirico, Nabucco di Verdi sempre con la regia Marconi e Il Trittico di Puccini al Teatro Massimo di Palermo, Luisa Miller di Verdi e Le Roi de Lahore di Massenet (Teatro La Fenice di Venezia), Rigoletto (Opéra de Lausanne), La Traviata (Opera di Praga) e Falstaff di Verdi (Teatro San Carlo di Napoli), Carmen di Bizet (Finish National Opera di Helsinki) e La Dama di Picche di Tchaikovsky (Theatre du Capitole di Toulouse), queste ultime con le regie di Arnaud Bernard.
Intensa la collaborazione con Gabriele Lavia. Per la sua regia ha recentemente firmato le scene dell'Attila di Verdi al Teatro alla Scala di Milano, Giovanna d'Arco (Festival Verdi di Parma), Nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte di Mozart (Suntory Hall di Tokyo) e Salomè di Strauss (Teatro Comunale di Bologna).
Prossimamente, sempre con Lavia, metterà in scena Don Giovanni di Mozart per la San Francisco Opera e I masnadieri di Verdi per il Teatro di San Carlo di Napoli.
Nel 2007 ha ricevuto il Premio "Dedicato a Vittorio Gassman" come miglior scenografo.
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