di Giuseppe Manfridi e Attilio Marangon
regia Roberto Gandini
con Davide Bannino, Massimo Esposito, Teresa Federico, Andrea Giancaterina,
Fabrizio Lisi, Gabriele Ortenzi, Fabio Piperno, Livia Rizzuti, Ettore Savarese, Giulia Tetta,
Livia Travia, Andrea Tufo, Danilo Turnaturi
musiche Simone Maggio
scene Paolo Ferrari
costumi Loredana Spadoni
coordinamento pedagogico Luigia Bertoletti
coordinamento specialistico Meria Irene Sarti
info Piero Gabrielli 06. 58333672
biglietti 5 euro
orari
2 | 3 novembre ore 10.30
4 novembre ore 10.00 e ore 12.00
5 novembre ore 17.00
domenica riposo
7 novembre ore 10.30 e ore 21.00
8 novembre ore 10.30
produzione Teatro di Roma, Laboratorio Teatrale Integrato "Piero Gabrielli"
La storia
Un giorno, nel Cimitero della Fantasia, arriva Don Abbondio.
E' accompagnato da Morire, un elegante signore che si occupa di portare in questo luogo i personaggi della fantasia appena prelevati dalle storie in cui vivono. Attraverso gli occhi di Don Abbondio scopriamo le regole di questo strano camposanto, in cui, per esempio, i loculi sono mobili e assomigliano a delle grosse camere d'aria, come quelle degli autotreni, che, oltre a permettere al proprietario di riposare, contengono tutta la sua memoria. Se la camera d'aria è sgonfia o perde, i personaggi non ricordano nulla del loro passato.
E questo è proprio quello che accade a Don Abbondio, appena giunto nel Cimitero della Fantasia. Morire va a prendere un'altra camera d'aria e finalmente il prete inizia a ricordare. E ricorda come e quando è morto e ci racconta che lui, che è sempre stato un fifone, è morto con coraggio.
Veniamo poi a sapere che in questo luogo non ci sono solo personaggi della fantasia con sembianze umane ma anche cose, oggetti di uso comune, creati dalla fantasia e in seguito dimenticati, fuori moda, come ad esempio il Fonografo. Molti personaggi poi ci raccontano il momento in cui sono morti: Polifemo, il Gatto e la Volpe, Eva, ecc.
Come tutti i cimiteri anche quello della fantasia ha dei visitatori e allora ecco la Figlia del Dottore, quella della filastrocca "Ambarabà Ciccì Coccò", in cerca del padre, il Dottore appunto. La Figlia del Dottore è sicura che il suo papà, che nella filastrocca "si ammalò", è morto e che quindi stia lì. Vorrebbe mettere un fiore sulla tomba ma non la trova perché appunto, in quel bizzarro cimitero, i loculi sono mobili e quindi, come dice Morire, "Per cercare qualcuno, nel Cimitero della Fantasia, ci vuole molta immaginazione."
La storia finisce quando arriva la sera e tutti i personaggi preparano la loro camera d'aria, vi si coricano e, dal soffio d'aria che ognuna emana, scelgono un ricordo, così che il Sonno lo possa trasformare in bel sogno.
Parlare di morte serve a valorizzare la vita!
Da molto tempo volevo occuparmi del tema della morte e precisamente da quando lessi "Il violino di Rotschild" di Anton Cechov, un racconto in cui un costruttore di bare, violinista a tempo perso, è ossessionato dalle possibili perdite economiche che occorrono alla sua esistenza, quando poi starà per morire, sarà quasi contento, perché con la morte, finalmente, non ci saranno perdite. Pensai che mi sarebbe piaciuto rappresentare quella novella a teatro, l'alchimia cecoviana, che mischia il tragico col comico, mi sembrava l'unico modo di affrontare un argomento così importante, l'unico che davvero riguarda tutti. "Il violino di Rotschild" però, pur essendo un capolavoro della novellistica, è appunto un racconto e non un testo teatrale. Si aggiunga poi che la storia non è adatta agli interpreti con cui l'avrei potuta mettere in scena e cioè i ragazzi con e senza disabilità del "Laboratorio Piero Gabrielli".
Pur avendo molti dubbi su come e se trattare il tema della morte vi erano però ragioni e domande che mi spingevano a non desistere dall'intento. Perché del morire si spettacolarizzano tutte le manifestazioni? L'omicidio a sfondo famigliare, il delitto motivato da pulsioni sessuali, le morbosità necrofile delle trasmissioni televisive di attualità, le innumerevoli serie poliziesche con le ormai immancabili inquadrature al tavolo anatomico con su un cadavere sbudellato. Oppure i video giochi ammazzatutti, o le immagini della rete con morti ammazzati in guerra, per rapina, per calamità naturali e via di questo passo. Tutto questo senza un attimo per riflettere, senza che vi sia un momento per affrontare con calma l'argomento, senza partecipare minimamente a quel dolore, ma anzi passando, fagocitati dal televisore, da quello strazio alla pubblicità. E quando ci capita realmente di incontrare la morte durante la vita, la trattiamo con superstizione o non la trattiamo del tutto. Quando invece è un bambino o un giovane ad imbattersi nella morte di una persona vicina, la formula può diventare: "E' troppo piccolo ... per certe cose. Potrebbe esserne scioccato!...".
E allora raccontiamola noi la morte! In maniera lieve, straniata, col distacco surreale che ci permette il gioco teatrale. Senza morbosità, attraverso il corpo e la voce dei nostri attori, non sempre perfetti ma anzi, proprio perché imperfetti, desiderosi di dare vita all'imperfezione; entusiasti di stare in scena, di cercare senso nella vita, propria e altrui. Così e cominciata l'avventura de "Il soffio delle camere d'aria" che ora è diventato un testo teatrale scritto da Giuseppe Manfridi e Attilio Marangon e che debutterà al Teatro India il 2 novembre portato in scena dai giovani attori con e senza disabilità de "La Piccola Compagnia del Piero Gabrielli".
Che cosa succederebbe se qualcuno immaginasse la morte di un personaggio come Don Abbondio, Polifemo, Eva, Il Pifferaio Magico? Succederebbe che lo farebbe "morire fantasticamente" e di conseguenza lo manderebbe nel Cimitero della Fantasia. In quest'improbabile camposanto troveremo non solo personaggi fantastici dalle sembianze umane ma anche bambole, fonografi, animali e fiori, magari i girasoli di Van Gogh. "Il soffio delle camere d'aria" racconta queste fantasticherie! Ah dimenticavo, il farli morire non li fa sparire dalla nostra percezione. Polifemo, Don Abbondio, e compagni, rimarranno sempre accanto a noi, fino a quando ce ne ricorderemo.
Parallelamente alla programmazione de "Il soffio delle camere d'aria" al Teatro India avranno luogo, presso le scuole romane che ne avranno fatta richiesta, una serie d'incontri con studenti e insegnanti per discutere delle idee e delle sensazioni che lo spettacolo avrà evocato.
Spero che questi incontri ci diano la conferma che il parlare di morte serve a valorizzare la vita.
Roberto Gandini
Il Teatro di Roma, da sempre sensibile alle problematiche inerenti la disabilità, attraverso il Laboratorio Piero Gabrielli vuole contribuire alla realizzazione di una comunità accogliente ed inclusiva nella quale chiunque possa realizzare esperienze di crescita individuale e culturale. Il progetto è promosso e realizzato grazie alla collaborazione tra Roma Capitale - Assessorato alle Politiche Sociali e Promozione della Salute, Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio e Teatro di Roma. L'iniziativa si rivolge a ragazzi con e senza disabilità con l'obiettivo di creare uno spazio in cui le "differenze possano convivere e diventare una ricchezza" attraverso un reale inserimento sia didattico-educativo che relazionale. Dunque, il teatro come modello di integrazione e collante di un progetto formativo condiviso intorno al comune valore di appartenenza civile di ogni essere umano. Dopo diciassette anni di attività laboratoriale il Piero Gabrielli è una delle realtà più significative del settore in Italia e all'estero.
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