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di Luigi Pirandello
regia Luca De Fusco
scene Fabrizio Plessi
costumi Maurizio Millenotti
musiche Antonio Di Pofi
luci Gigi Saccomandi
con (in o. a.) Gaia Aprea, Anita Bartolucci, Alberto Fasoli, Giovanna Mangiù, Aldo Ottobrino, Paolo Serra, Enzo Turrin
Arena del Sole - Nuova Scena Teatro Stabile di Bologna, Teatro Stabile del Veneto "Carlo Goldoni"
Una ragazza sfortunata, che ha vissuto amori sbagliati e vicende travagliate, si suicida, ma mentre agonizza compie un atto incredibile per una persona che sa di non avere un futuro: concede una intervista a un giornale popolare in cui si "rappresenta" in modo molto diverso dalla realtà, creando una immagine di sé nobile ed edificante. La ragazza viene poi salvata dalla morte e, sopravvivendo, prova a inventarsi una nuova se stessa "né quella né questa: un'altra".
Purtroppo la finta Ersilia, questo il suo nome, che tutti avrebbero rispettato se fosse morta, non regge il peso della realtà e per vedersi restituire l'onore perduto, è costretta a suicidarsi davvero, questa volta con successo.
Questa trama potrebbe essere una storia del nostro tempo: Ersilia, se non fosse per il suo nome demodé, sembra una cugina della ragazza inglese che ha recentemente venduto alla tv la diretta della propria agonia, fino al termine dei suoi giorni. L'unica differenza, che rende questo intreccio ancora novecentesco e non contemporaneo, sta nel "mezzo". Ersilia concede l'intervista fatale a un quotidiano e non alla televisione. Ciò non toglie sapore profetico al copione pirandelliano che intuisce in grande anticipo come il nostro tempo verrà irrimediabilmente influenzato dalla forza dei mezzi di comunicazione di massa.
Deve infatti esserci qualcosa di irresistibile che spinge le persone a "rappresentarsi", a raccontare i propri moti più intimi in pubblico, trasfigurandoli e cercando il riscatto da grigie esistenze con brillanti affabulazioni delle stesse.
Queste riflessioni mi hanno spinto a immaginare un Vestire gli ignudi televisivo, in cui si aggiorna la volontà di auto rappresentazione dalla carta stampata al mezzo tipico del nostro tempo e in cui tutta la vicenda sembra raccontata e insieme spiata dalla televisione.
L'idea è talmente semplice ed efficace da avermi subito fatto cercare qualcosa che la rendesse più rarefatta e astratta, più universale e meno cronachistica. Credo di aver trovato la soluzione affidando la scenografia a un artista come Fabrizio Plessi. Fabrizio è un veneziano d'adozione, come sono stato io. Ha inventato un modo creativo e sottilmente teatrale per usare il mezzo più inflazionato del nostro tempo: i video, questa idea lo ha reso famoso in tutto il mondo. È stato quindi l'uomo giusto - ne sono sicuro - per allestire il nostro reality show pirandelliano come una magica metafora, misteriosa, sospesa tra antico e moderno, come un film in bianco e nero. Man mano che lavoravamo assieme, che realizzavamo il laboratorio di dicembre aperto agli studenti universitari di Venezia e Padova, che vedevo comparire i suoi mobili astratti, si è andato sempre più assottigliando il senso di spettacolo televisivo e sempre più il nostro spazio è andato assomigliando a quella che Giovanni Macchia chiama "la stanza della tortura". Macchia definisce in questo modo la scena pirandelliana: un luogo dove i personaggi della sua drammaturgia hanno la straziante esigenza di raccontarsi, di mettere a nudo i propri grovigli interiori, sempre mossi dall'impulso di autogiustificarsi, di spiegare le proprie contraddizioni, alla ricerca di una improbabile assoluzione. Questo clima giudiziario in cui i monologhi assomigliano a deposizioni ha a poco a poco, durante le prove, spostato l'asse dello spettacolo. Dal reality show rarefatto siamo passati ad una sorta di stanza delle ispezioni. Un regista occulto (forse lo stesso Pirandello?) spia, scruta, infila la telecamera negli angoli più nascosti, addirittura fa calare un microfono per ascoltare meglio la scena madre del testo, che i due personaggi tendono a recitare con segretezza.
I due filoni dello spettacolo rappresentano due grandi temi della drammaturgia di Pirandello, quello della voglia di auto rappresentazione dei personaggi (si pensi solo alla Trilogia del teatro nel teatro) e il crudele talento di scavo, tra l'entomologo e lo psicoanalista con cui Pirandello tortura i suoi personaggi i fantasmi della sua psiche. Nel finale i due fili si riuniscono in un monologo di Ersilia che è insieme la sua grande messa a nudo e l'apice dell'ispezione del regista occulto.
Questa idea di spettacolo non nasce, come sempre nei nostri spettacoli, per caso, ma partendo dalla nostra compagnia. È quindi il banco di prova finale, l'esame di laurea, per Gaia Aprea, questa giovane attrice che ha lavorato con lo Stabile del Veneto durante tutti i dieci anni della mia direzione e che il pubblico ha visto essere i personaggi più diversi: da Giovanna d'Arco al ragazzino Jim de L'isola del tesoro, da molte ragazze goldoniane (tra cui l'indimenticabile Giacinta) ad altre "greche" o elisabettiane.
Luca De Fusco
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