Teatro India, 4 | 13 dicembre 2007
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DI Annibale Ruccello
REGIA Arturo Cirillo PERSONAGGI ED INTERPRETI Arturo Cirillo, Monica Piseddu
SCENE Massimo Bellando Randone
COSTUMI Gianluca Falaschi
DISEGNO LUCI Pasquale Mari
MUSICA ORIGINALE Francesco De Melis
ASSISTENTE ALLA REGIA Roberto Capasso
Nuovo Teatro Nuovo - Teatro Stabile di Innovazione di Napoli
IN COLLABORAZIONE CON AMAT
orari spettacolo
martedì, mercoledì, giovedì, venerdì e sabato ore 21.00
domenica ore 18.00
lunedì riposo
Leggo Le cinque rose di Jennifer come una metafora della nostra esistenza, o per usare il linguaggio di uno degli altri personaggi che abitano la stanza in cui avviene la vicenda: “come una specie di simbolo di questa mia atroce solitudine”.
Di tutti i testi che Ruccello ha scritto credo che questo sia quello dove maggiormente egli si sia rappresentato attraverso un altro da sé, certamente è il testo più legato ad una sua personale interpretazione come attore. Tutto è nella mente del personaggio (un travestito napoletano), infatti il piano di realtà, pur essendo estremamente concreto, è continuamente minato dal sospetto che niente esista realmente.
Molti sono gli indizi sparsi nel testo: la creazione di un ipotetico quartiere ghetto per travestiti di nuova e non conclusa costruzione; la numerazione dei telefoni che sembrerebbero non appartenere ad una stessa zona (si passa dal 42 di Jennifer al 45 o al 25 degli altri); la corrente elettrica che scompare verso la fine pur lasciando in funzione la radio e che lascerà nel buio solo ed unicamente la stanza di Jennifer; il telefono che perderà la linea per poi riacquistarla negli ultimi istanti della vicenda.
A questo elenco va aggiunto poi la creazione di tre personaggi che per buona parte della pièce accompagneranno ossessivamente il protagonista nel suo viaggio verso la notte.
Il primo è Franco, uomo del nord, conosciuto da Jennifer una sera e che lei da molto tempo pervicacemente attende ed immagina, attesa che si dimostrerà sempre più straziante ed inutile, frutto unicamente della sua ossessione. Il secondo è un assassino che semina cadaveri nel quartiere attraverso una dinamica illogica (l’arma appartiene sempre alla vittima, la casa è solidamente chiusa dall’interno, gli stessi omicidi aumentano vertiginosamente nel trascorrere delle ore) e che farebbe pensare ad una sua non reale esistenza. Il terzo personaggio, l’unico ad apparire nella stanza, è Anna, altro travestito abitante nel quartiere, il quale per due volte s’intrometterà nel rumoroso mondo di Jennifer portando una variante al dramma della solitudine, e che nella sua seconda intrusione in scena svilupperà un racconto in cui la sua identità e quella di Jennifer slitteranno una sull’altra arrivando quasi alla possibile creazione di un doppio.
Avendo scelto di osservare la storia da questo punto di vista credo sia chiaro il perché di certe scelte da me attuate; come l’aver dato alla radio sempre un'unica voce e l’aver fatto entrare Anna la seconda volta con il vestito che Jennifer indossava nella loro precedente scena insieme.
Poi c’è la scelta di dare il ruolo dell’altro travestito ad un’attrice. E’ ormai da tempo che io amo giocare nei miei spettacoli su una certa ambiguità dei generi, soprattutto trovo interessante vedere come un attore affronta, attraverso un lavoro quanto è possibile interiore, delle realtà a lui non immediatamente vicine. Mi è sembrato bello e stimolante inserire in uno spettacolo che parla, tra le altre cose, di una non definita identità sessuale lo sguardo e la sensibilità di una donna. In fondo quello che si vede in scena sono due realtà non complete, dei corpi e delle menti in bilico tra il maschile e il femminile (e mi piace qui notare come Ruccello nel testo faccia parlare i suoi personaggi al femminile ma li descriva sempre al maschile).
Arturo Cirillo
REGIA Arturo Cirillo PERSONAGGI ED INTERPRETI Arturo Cirillo, Monica Piseddu
SCENE Massimo Bellando Randone
COSTUMI Gianluca Falaschi
DISEGNO LUCI Pasquale Mari
MUSICA ORIGINALE Francesco De Melis
ASSISTENTE ALLA REGIA Roberto Capasso
Nuovo Teatro Nuovo - Teatro Stabile di Innovazione di Napoli
IN COLLABORAZIONE CON AMAT
orari spettacolo
martedì, mercoledì, giovedì, venerdì e sabato ore 21.00
domenica ore 18.00
lunedì riposo
Leggo Le cinque rose di Jennifer come una metafora della nostra esistenza, o per usare il linguaggio di uno degli altri personaggi che abitano la stanza in cui avviene la vicenda: “come una specie di simbolo di questa mia atroce solitudine”.
Di tutti i testi che Ruccello ha scritto credo che questo sia quello dove maggiormente egli si sia rappresentato attraverso un altro da sé, certamente è il testo più legato ad una sua personale interpretazione come attore. Tutto è nella mente del personaggio (un travestito napoletano), infatti il piano di realtà, pur essendo estremamente concreto, è continuamente minato dal sospetto che niente esista realmente.
Molti sono gli indizi sparsi nel testo: la creazione di un ipotetico quartiere ghetto per travestiti di nuova e non conclusa costruzione; la numerazione dei telefoni che sembrerebbero non appartenere ad una stessa zona (si passa dal 42 di Jennifer al 45 o al 25 degli altri); la corrente elettrica che scompare verso la fine pur lasciando in funzione la radio e che lascerà nel buio solo ed unicamente la stanza di Jennifer; il telefono che perderà la linea per poi riacquistarla negli ultimi istanti della vicenda.
A questo elenco va aggiunto poi la creazione di tre personaggi che per buona parte della pièce accompagneranno ossessivamente il protagonista nel suo viaggio verso la notte.
Il primo è Franco, uomo del nord, conosciuto da Jennifer una sera e che lei da molto tempo pervicacemente attende ed immagina, attesa che si dimostrerà sempre più straziante ed inutile, frutto unicamente della sua ossessione. Il secondo è un assassino che semina cadaveri nel quartiere attraverso una dinamica illogica (l’arma appartiene sempre alla vittima, la casa è solidamente chiusa dall’interno, gli stessi omicidi aumentano vertiginosamente nel trascorrere delle ore) e che farebbe pensare ad una sua non reale esistenza. Il terzo personaggio, l’unico ad apparire nella stanza, è Anna, altro travestito abitante nel quartiere, il quale per due volte s’intrometterà nel rumoroso mondo di Jennifer portando una variante al dramma della solitudine, e che nella sua seconda intrusione in scena svilupperà un racconto in cui la sua identità e quella di Jennifer slitteranno una sull’altra arrivando quasi alla possibile creazione di un doppio.
Avendo scelto di osservare la storia da questo punto di vista credo sia chiaro il perché di certe scelte da me attuate; come l’aver dato alla radio sempre un'unica voce e l’aver fatto entrare Anna la seconda volta con il vestito che Jennifer indossava nella loro precedente scena insieme.
Poi c’è la scelta di dare il ruolo dell’altro travestito ad un’attrice. E’ ormai da tempo che io amo giocare nei miei spettacoli su una certa ambiguità dei generi, soprattutto trovo interessante vedere come un attore affronta, attraverso un lavoro quanto è possibile interiore, delle realtà a lui non immediatamente vicine. Mi è sembrato bello e stimolante inserire in uno spettacolo che parla, tra le altre cose, di una non definita identità sessuale lo sguardo e la sensibilità di una donna. In fondo quello che si vede in scena sono due realtà non complete, dei corpi e delle menti in bilico tra il maschile e il femminile (e mi piace qui notare come Ruccello nel testo faccia parlare i suoi personaggi al femminile ma li descriva sempre al maschile).
Arturo Cirillo
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