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Commedia plautina e poesia pasoliniana: il piccolo miracolo del Vantone
È una Roma metafisica, onirica, ma al contempo viscerale, vitale, abitata da presenze slabbrate, truffatori e scrocchi, gente da male e varia umanità, quella messa in scena da Roberto Valerio alle prese con quel piccolo gioiello di (ri)scrittura plautina che è il Vantone di Pier Paolo Pasolini.
La scenografia, firmata da Giorgio Gori, è una visione essenziale, pulita: uno sfondo cromaticamente cangiante e una struttura lignea a due aperture sulla sinistra. Lo spazio è ampio, vuoto arioso e prezioso offerto al respiro d'una lingua materica e corporea, quel romanesco in rima, lordato e terragno, che evoca certi passi di Giuseppe Gioacchino Belli. Non è lingua archeologica (Vantone è, peraltro, sorta di neologismo, riuscitissimo, che non ha occorrenze nella letteratura e nell'uso romanesco) né proiezione moderna o contemporanea, ma lingua poetica, unica vera soluzione per la traslazione espressiva e artistica dei dialetti (si pensi, ad altre latitudini, a Ugo Chiti, Dario Fo, Emma Dante, ma anche al Fabrizio De André pseudo-genovese).
Il Miles gloriosus di Tito Maccio Plauto approda quindi in una contemporaneità assurda e sospesa: il fanfarone Pirgopolinice è ben reso da Nicola Rignanese con un'interpretazione ottimamente calibrata sul carattere (retaggio d'una maschera arcaica della paillata latina), sempre sopra le righe, con movenze guappe, secche e accelerate. L'intreccio della fabula è semplice, basato sul modello classico: l'amore di due giovani (Filocomasia e Pleusicle) è impedito dal rapimento compiuto da un soldato smargiasso e vantone che finirà per essere gabbato, vittima degli intrecci orditi dal furbo Palestrione servo di Pleunice.
A questo testo, il più lungo dell'intero corpus teatrale plautino, Pasolini applica, oltre alla reinvenzione linguistica (in opposizione alla traduzione, col rischio di rendere ancor più cristallizzato un testo risalente a oltre due millenni fa), un'appropriatissima vocazione musicale, pronta a esplodere in alcuni momenti d'irresistibile teatralità: pensiamo all'irruzione, potente e sentimentale, della voce di Domenico Modugno che canta Che cosa sono le nuvole? , canzone scritta a quattro mani proprio con Pasolini per l'omonimo episodio inserito nel film Capriccio all'italiana.
Se questo Vantone ha un pregio è, in ogni caso, quello della pulizia: in senso estetico, in senso scenico, in senso poetico. E spettacoli del genere dovrebbero esser mostrati agli aspiranti registi e ai frequentatori delle scuole di recitazione: nessun elemento mai di troppo, direzione degli attori puntuale, perfetta, sfruttamento dello spazio preciso. Una regia così pulita, solo apparentemente facile, firmata da Roberto Valerio ottimo anche nella veste d'interprete, ha il grandissimo pregio di lasciar campo libero alla lingua, a quel meraviglioso impasto di termini e versi che inserisce a pieno diritto questo testo tra le migliori produzioni dialettali di Pasolini. L'evidenza di ciò è data dall'accessibilità della messinscena, in grado di divertire, strappare applausi e riscuotere consensi pur a fronte di un testo per niente facile, di non immediata comprensione.
Oltre al pregevole lavoro di Rignanese è d'obbligo sottolineare la bravura estrema degli attori, in particolare Massimo Grigò (e non è, ormai, una novità), interprete di grande centratura vocale, presenza e sorprendete levità, e l'abile Roberta Mattei, che riesce a gestire e differenziare con grande efficacia due ruoli. Il tutto concorre a rendere questo spettacolo una piacevolissima sorpresa, un piccolo gioiello emozionante e divertente, nella sua peculiare eleganza e misura, nei suoi riferimenti alla cinematografia pasoliniana, al varietà, a quel mondo minore, artistico e antropologico, che costituiva un polo d'attrazione irrinunciabile per il Pasolini degli anni Sessanta. Facile sarebbe stato scadere nel pretenzioso, nella forzatura strillata del riferimento attualizzante e scomposto che pure sembra cifra stilistica di altri teatranti d'attuale successo, ed è per questo che, dunque, consideriamo questo Vantone allestimento felice, raro, da seguire con attenzione e, azzardiamo, speranza.
È una Roma metafisica, onirica, ma al contempo viscerale, vitale, abitata da presenze slabbrate, truffatori e scrocchi, gente da male e varia umanità, quella messa in scena da Roberto Valerio alle prese con quel piccolo gioiello di (ri)scrittura plautina che è il Vantone di Pier Paolo Pasolini.
La scenografia, firmata da Giorgio Gori, è una visione essenziale, pulita: uno sfondo cromaticamente cangiante e una struttura lignea a due aperture sulla sinistra. Lo spazio è ampio, vuoto arioso e prezioso offerto al respiro d'una lingua materica e corporea, quel romanesco in rima, lordato e terragno, che evoca certi passi di Giuseppe Gioacchino Belli. Non è lingua archeologica (Vantone è, peraltro, sorta di neologismo, riuscitissimo, che non ha occorrenze nella letteratura e nell'uso romanesco) né proiezione moderna o contemporanea, ma lingua poetica, unica vera soluzione per la traslazione espressiva e artistica dei dialetti (si pensi, ad altre latitudini, a Ugo Chiti, Dario Fo, Emma Dante, ma anche al Fabrizio De André pseudo-genovese).
Il Miles gloriosus di Tito Maccio Plauto approda quindi in una contemporaneità assurda e sospesa: il fanfarone Pirgopolinice è ben reso da Nicola Rignanese con un'interpretazione ottimamente calibrata sul carattere (retaggio d'una maschera arcaica della paillata latina), sempre sopra le righe, con movenze guappe, secche e accelerate. L'intreccio della fabula è semplice, basato sul modello classico: l'amore di due giovani (Filocomasia e Pleusicle) è impedito dal rapimento compiuto da un soldato smargiasso e vantone che finirà per essere gabbato, vittima degli intrecci orditi dal furbo Palestrione servo di Pleunice.
A questo testo, il più lungo dell'intero corpus teatrale plautino, Pasolini applica, oltre alla reinvenzione linguistica (in opposizione alla traduzione, col rischio di rendere ancor più cristallizzato un testo risalente a oltre due millenni fa), un'appropriatissima vocazione musicale, pronta a esplodere in alcuni momenti d'irresistibile teatralità: pensiamo all'irruzione, potente e sentimentale, della voce di Domenico Modugno che canta Che cosa sono le nuvole? , canzone scritta a quattro mani proprio con Pasolini per l'omonimo episodio inserito nel film Capriccio all'italiana.
Se questo Vantone ha un pregio è, in ogni caso, quello della pulizia: in senso estetico, in senso scenico, in senso poetico. E spettacoli del genere dovrebbero esser mostrati agli aspiranti registi e ai frequentatori delle scuole di recitazione: nessun elemento mai di troppo, direzione degli attori puntuale, perfetta, sfruttamento dello spazio preciso. Una regia così pulita, solo apparentemente facile, firmata da Roberto Valerio ottimo anche nella veste d'interprete, ha il grandissimo pregio di lasciar campo libero alla lingua, a quel meraviglioso impasto di termini e versi che inserisce a pieno diritto questo testo tra le migliori produzioni dialettali di Pasolini. L'evidenza di ciò è data dall'accessibilità della messinscena, in grado di divertire, strappare applausi e riscuotere consensi pur a fronte di un testo per niente facile, di non immediata comprensione.
Oltre al pregevole lavoro di Rignanese è d'obbligo sottolineare la bravura estrema degli attori, in particolare Massimo Grigò (e non è, ormai, una novità), interprete di grande centratura vocale, presenza e sorprendete levità, e l'abile Roberta Mattei, che riesce a gestire e differenziare con grande efficacia due ruoli. Il tutto concorre a rendere questo spettacolo una piacevolissima sorpresa, un piccolo gioiello emozionante e divertente, nella sua peculiare eleganza e misura, nei suoi riferimenti alla cinematografia pasoliniana, al varietà, a quel mondo minore, artistico e antropologico, che costituiva un polo d'attrazione irrinunciabile per il Pasolini degli anni Sessanta. Facile sarebbe stato scadere nel pretenzioso, nella forzatura strillata del riferimento attualizzante e scomposto che pure sembra cifra stilistica di altri teatranti d'attuale successo, ed è per questo che, dunque, consideriamo questo Vantone allestimento felice, raro, da seguire con attenzione e, azzardiamo, speranza.
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