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Il Lear di Edward Bond - riscrittura contemporanea di Shakespeare - è una riflessione avvincente e violenta sul controverso e indissolubile rapporto tra uomo e potere. Tutta la storia si dipana lungo la costruzione di un muro - eretto come difesa, frontiera e immenso monumento del potere. Mentre il filo narrativo disegna – con un linguaggio crudo e poetico dall’andamento grottesco e singolarmente moderno – tutte le violenze, gli intrighi e le guerre che dal muro prendono vita.
Questa la storia: Lear, autocrate che molto somiglia a tanti capi di stato moderni, si dedica alla costruzione di un muro che separi e protegga il proprio stato dai nemici confinanti. Le figlie Bodice e Fontanelle gli si ribellano causando una guerra sanguinosa e una lunga catena di abusi – privati e ‘di stato’. Lear, divenuto loro prigioniero e poi liberato, è accompagnato e ossessionato ad un tempo dal fantasma del figlio di un becchino, la cui gentilezza verso il re lo ha portato alla morte. All’orizzonte nuovi scontri con le forze ribelli che a loro volta imprigioneranno e tortureranno Lear e ne uccideranno le figlie…
Dopo un arco - tutto teatrale e letterale – di intrighi, violenza e consapevolezza, Lear si lascerà sparare da un giovane soldato provando a smantellare il muro da lui stesso edificato
I tre atti del testo, come un inquieto racconto post atomico, raccontano allora tre diverse stagioni politiche: il governo autoritario di Lear, la debole e corrotta oligarchia delle sue figlie e l'istituzione di un governo rivoluzionario che – fatalmente – riprenderà la costruzione del muro. Governi, desideri individuali e piani politici si susseguono, come intrappolati in quello schema antico di sopraffazioni che sembra ancora oggi essere l’unica forma per affermare e conservare qualsiasi potere.
Attraverso questa grande favola nera la parabola esemplare di Lear si offre per ragionare, ancora oggi, sui rapporti di potere pubblici e privati nascosti dietro ad ogni ‘muro’. E sulla strada lunga e silenziosa da percorrere per non perdere ciò che chiamiamo umanità.
Lear ci lascia con l’eco terribile della mappa di Crimea, nominata lungo tutto il testo, grazie a quella preveggenza con cui la grande drammaturgia sa immaginare e prefigurare il più impensabile presente.
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