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IL FASCINO INDISCRETO DELLO SGUARDO
Perché ha scelto di portare in scena Pornografia?
Cosa l’ha avvicinata a Gombrowicz?
Una memoria, tuttora viva, delle mie prime letture di Gombrowicz che risalgono oramai agli anni Sessanta: Pornografia, ma anche le commedie Iwona principessa di Borgogna e Il matrimonio, le novelle di Bacacay e un altro romanzo, Kosmos.
Cosa le piace di questo autore e perché le interessa?
Mi piacciono il suo spirito caustico, l’irriverenza e l’intelligenza. Dello spirito caustico apprezzo come esso incida - è evidente soprattutto in Pornografia -nel vivo di una cultura.
Gombrowicz dà un titolo decisamente provocatorio al romanzo. Ma è davvero pornografico?
Direi di no: era ben più carnale, sessuale, Celestina, se vogliamo fare un paragone con un altro spettacolo che ho messo in scena questa stagione al Piccolo… Il problema, qui, è proprio l’opposto, ossia che non accade nulla di “fisico” e che i due protagonisti, Witold e Federico, non se ne danno pace: non capiscono come, cioè, due ragazzi che hanno tutto - età, bellezza, sensualità - per stare insieme, si siano totalmente indifferenti. Di qui l’idea di architettare qualcosa che li spinga l’uno nelle braccia dell’altra.
Subito all’inizio si nominano alcuni concetti fondamentali di ogni cultura che voglia dirsi tale, dicendo che hanno proprio stancato…
Sì, Dio, arte, nazione, proletariato che sono i cardini di quella che è la tradizione culturale polacca. Fa parte di quell’atteggiamento caustico e iconoclasta di cui parlavo e della volontà, da parte di Gombrowicz, di smantellare l’architettura culturale polacca.
Europea anche?
Direi polacca. Non mi sentirei, per esempio, di attribuire anche alla Francia post illuminista lo stesso milieu culturale: qua invece è tartassata l’immagine non di un banale bigottismo - mi riferisco al personaggio di Amalia, ovviamente - ma di quella assoluta dedizione alla figura divina di cui una forma di bigottismo è corollario. Il fatto che basti la semplice presenza di una figura come Federico per far sì che lei, scesa in cucina per prendere del formaggio, ci trovi un ladruncolo adolescente e ci si accoppi, è di una violenza incredibile.
Gombrowicz dice, e più volte scrive, di concepire il mondo come organizzato su alcune coppie di opposti: Giovane/Adulto, Maturo/Immaturo, ma in realtà i “vecchi” non sono poi così maturi…
La contrapposizione esiste e molto. Anche se una cosa bella, per me, è che nei due uomini di mezza età che osservano la coppia giovane non c’è nessun senso di esplicita nostalgia. La nostalgia viene, probabilmente, allo spettatore di mezza età, quando si identifichi con quei due voyeur che guardano una possibile giovinezza.
A voler ben vedere, cioè, a leggere quel che davvero è scritto, il rapporto che si instaura tra le due coppie, Witold e Federico da un lato, Enrichetta e Carlo dall’altro, è tutt’altra cosa rispetto a uno scontro generazionale.
Eppure nei Diari Gombrowicz scrive che la vecchiaia è indecente…
Lo dice, ma poi riesce benissimo a trattenersi artisticamente nel momento in cui scrive il romanzo.
Lo fa supporre, ma non lo dichiara mai.
Il guardare è il fulcro di questo spettacolo, insomma.
Sì, noi guardiamo due guardoni che guardano due creature che invece non si guardano...
Tornando alla noia, potrebbe essere un altro dei motori che sottostanno all’opera di Gombrowicz, intendendola come qualcosa che spinge Witold e Federico a lanciarsi in un’avventura dall’esito incerto…
La noia è uno dei temi di Gombrowicz. All’inizio del romanzo, e della commedia, Witold parla degli argomenti che abbiamo nominato sopra, Dio, patriottismo, arte, proletariato, come di argomenti profondamente noiosi; tuttavia poi dà l’impressione che, quando incontra quella specie di suo doppio che è Federico, alla noia, si sostituisca e prenda il sopravvento la volontà di spazzare via questi concetti.
C’è una scena bellissima, quella della funzione religiosa, in cui la messa perde improvvisamente significato per la semplice presenza di Federico, esattamente come la devozione perde significato sempre per la sola presenza di Federico, al suo stagliarsi di fronte ad Amelia. Il potere “distruttivo” del personaggio nei confronti della cultura polacca è dirompente.
Perché scegliere la guerra come ambientazione, se poi diventa quasi un sottofondo?
Quella, probabilmente, è un’altra idea perfida, piacevolmente perfida, dell’autore. Gombrowicz intendeva scrivere un romanzo storico e aveva davanti a sé un’alternativa: poteva non ambientarlo in Polonia, ma poi dove sarebbero andati a finire quei presupposti culturali, di nuovo Dio, nazione, arte, proletariato, di cui parlavamo? Quindi la vicenda doveva svolgersi in Polonia. Ma a questo punto che fare? Cominciare a scrivere, documentarsi sulla Polonia durante l’occupazione tedesca? Non credo. Piuttosto lavorare di supposizione, e far fare, così, una figura abbastanza “barbina” alla resistenza polacca: è uno degli obiettivi del romanzo, ma nello spettacolo è un poco sfumato, anche perché l’ultima parte del testo è un po’ macchinosa e difficile da dirimere.
In un’altra intervista, rilasciata in occasione del laboratorio teatrale intorno a Pornografia tenutosi presso il Centro Teatrale Santacristina, lei ha dichiarato che scrivendo il romanzo in prima persona Gombrowicz compie una sorta di “truffa” letteraria.
Intendevo dire che è un espediente letterario, una divertente “manipolazione” con la quale l’autore moltiplica i punti di vista: Gombrowicz si nomina spesso, nel corso della narrazione; uno dei due personaggi principali si chiama Witold, come lui; talvolta suo alter ego fittizio chiama se stesso “lo scrittore”. In questo modo lascia che nel lettore sedimenti l’idea di trovarsi di fronte a una storia autobiografica. Nulla di più falso: all’epoca dei fatti raccontati, nel periodo dell’invasione nazista della Polonia, Gombrowicz era in Argentina, dove sarebbe rimasto per più di vent’anni. Quindi scrive una storia in prima persona, di cui finge di essere il protagonista, mentre ne è il narratore onnisciente, ammicca al lettore e ne cerca la complicità. Per noi, che lo abbiamo portato in teatro, significa sovrapporre ben tre diverse temporalità, quella reale dell’autore, quella del “finto” Gombrowicz protagonista del romanzo, quella in cui si svolge la vicenda raccontata. Una bella sfida per gli attori…
…che probabilmente deriva anche dall’essere Pornografia un romanzo e non una commedia?
Certamente. Non capita spesso, in un testo scritto originariamente per essere rappresentato, di avere una sovrapposizione temporale così ricca.
Nella compagnia ci sono attori giovani accanto ai due protagonisti e lo spettacolo è nato all’interno di un laboratorio. Generazioni a confronto anche sul palcoscenico?
Paolo Pierobon e Riccardo Bini, in realtà i due protagonisti assoluti dello spettacolo, sono due attori di lunga esperienza; i giovani fanno piacevoli e interessanti apparizioni, ma sono un po’ come la rete contro cui si butta la palla. Sono bravissimi, ma non hanno personaggi particolarmente complessi. Forse solo il carattere di Venceslao e quello della madre, Amelia, sono più sbozzati. Questo nulla toglie al lavoro sull’interpretazione svolto dai ragazzi: i due attori più giovani, Lucia Marinsalta e Loris Fabiani, che interpretano Enrichetta e Carlo, hanno lavorato per ben due anni ciascuno sul proprio personaggio.
Gombrowicz, in una sorta di auto intervista pubblicata nell’edizione italiana del romanzo, parla di una possibile trasposizione cinematografica di Pornografia…
Ed è stata fatta. L’hai vista? Avrebbero fatto meglio a non farla… tutt’altra cosa dal romanzo. Di fatto c’era solamente il personaggio di Federico, Witold era una parte secondaria, il personaggio di Amelia era inesistente, quello della madre di Enrichetta molto più sviluppato: l’originale era completamente stravolto.
Cosa si aspetta che il pubblico milanese porti con sé di Pornografia?
È un po’ un’incognita. A Spoleto c’era un livello di notevole divertimento, con parecchie risate, quelle che sgorgano quando sai di andare a vedere uno spettacolo “nero”, ma che poi, quando lo segui, stai a sentire i dialoghi ed “entri” nella storia, ti fa anche venire da ridere. Forse è inizialmente difficile entrarci, però poi appassiona. Anche leggendo il libro ci si diverte… Ovvio che non parliamo di comicità “grassa”. Si ride sotto i baffi, insieme all’autore.
(a cura di Eleonora Vasta)
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