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dal romanzo di Antonio Tabucchi
regia Marco Baliani
drammaturgia Maria Maglietta
scene e costumi Carlo Sala
musiche Mirto Baliani
con Patrizia Bollini, Daria Deflorian, Gabriele Duma, Simone Faloppa, Renata Mezenov Sa, Mariano Nieddu, Alessio Piazza, Naike Anna Silipo, Alexandre Vella
Nel 2011 il nostro paese compirà centocinquanta anni. Non si sa ancora come questo anniversario sarà celebrato. Di certo sarà un momento importante per riflettere sulle nostre identità, sul percorso che ci ha portati fin qui, sulla memoria, sulle tappe, le date, le persone e i fatti che hanno permesso di essere quello che siamo.
Ho pensato così di cominciare un percorso teatrale di avvicinamento a questa scadenza, che mi permettesse di toccare alcuni temi, e di narrarli in azioni sceniche.
Piazza d'Italia, il romanzo di Antonio Tabucchi, è il racconto di un'epopea famigliare.
Attraverso le storie di tre generazioni di ribelli, che a loro volta si intrecciano con quelle degli altri abitanti del borgo toscano dove il tempo del romanzo si svolge, si percorre un arco storico di cento anni. Si passa così dallo sbarco dei mille alla prima grande guerra, al fascismo, all'arrivo dei nazisti che bruciano il paese, fino alla lotta di liberazione e agli anni sessanta della ricostruzione e della contestazione.
Ma la grande Storia fa da sfondo all'intreccio di piccole storie molto potenti, dense di accadimenti, di conflitti, di esperienze e umanità e che proprio per questo riescono con più forza a raffigurare lo scenario del tempo storico e del suo svolgersi. La sua ineluttabilità, nella vita minuta di Garibaldo, di Gavure o di Don Milvio, acquista la forma epica del Destino, insinua la possibilità che la Storia grande possa sempre scompaginarsi, per un gesto di rivolta, per un sogno, per un crocicchio inaspettato.
Così sono proprio queste storie e i personaggi che le veicolano a illuminare, riverberare e in parte riuscire a far comprendere sotto una luce nuova il tragitto accidentato del nostro paese dall'Unità d'Italia fino alla soglia degli anni sessanta. Il linguaggio con cui le narrazioni si dipanano ha la semplicità del sogno, le vicende si muovono in una leggerezza onirica dove un'antica antropologia fatta di oroscopi, e credenze governa il vivente con assai più imperio che non la pretesa razionalità del potere. La scrittura di Tabucchi è visionaria, densa di immagini, di gesti e parole memorabili, di narrazioni e dialoghi improvvisi che aprono squarci commoventi e indimenticabili. Voglio conservare nello spettacolo la coralità epica della scrittura di Tabucchi, proseguendo una ricerca di drammaturgia narrativa che caratterizza da anni il mio percorso. Stavolta occorre tessere l'arazzo di un albero genealogico, in un passaggio di testimone da padre in figlio, dentro un contenitore di racconti che si succedono nel tentativo di misurarsi con l'unica esperienza che giustifica la necessità del raccontare, il morire. Per far sì che questo accada lo spettacolo deve essere pervaso da una dolce, a tratti struggente, ironia, come accade nelle pagine del romanzo.
Marco Baliani
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