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di Lee Hall
traduzione Edy Quaggio
adattamento, regia, scena e costume Marco Carniti
musiche originali Davide Barittoni
con Melania Giglio
orari spettacolo
ore 22.30
Fahrenheit 451 Teatro
Steinberg è una bambina molto speciale, con un' intelligenza particolare e una percezione della realtà irripetibile.
Soffre di una sindrome autistica ed è così innamorata della vita che, attraverso i suoi occhi, il mondo appare nuovo e straordinario.
Il testo, scritto da Lee Hall, autore inglese candidato all'Oscar per la sceneggiatura di Billy Elliot, interpretato da Melania Giglio diretta da Marco Carniti, giocando sul filo sottile che separa il riso dal pianto, drammaturgicamente ben dosato e ricco della freschezza espressiva tipica del linguaggio dei bambini, offre uno sguardo disincantato su temi di attualità, come la famiglia, la malattia, la diversità.
Carniti ha messo in scena il testo,realizzando, con scarsissimi mezzi - quello principale è offerto dalla disincarnata protagonista Melania Giglio -una specie di micro-miracolo di devozione alla forma. In questa regia la crudeltà del tema, anzi dei temi-handicap,malattia, morte, famiglie scompaginate, padri imbelli e mascalzoncelli, madri sopraffatte dalla sventura -non è affatto gratuita. La tragedia è autentica e, al contempo, lirica: nella doppia accezione di lirica = poesia, e di opera lirica. (Lieder di Strauss, L'Italiana in Algeri, I racconti di Hoffman, per il finale la Messa in sì minore di Bach). E dunque, entriamo, e la protagonista è già lì, sprofondata nella sua immensa salopette giallouovo, e tutta raggomitolata su se stessa, la testa racchiusa in una cuffia (sapremo che ha perso i capelli nell'inutile tentativo chemioterapico di strapparla al cancro): e, sempre ascoltando musica con gli auricolari, l'opera lirica - 'Amo le signore che cantano le opere'- con qualche fragorosa irruzione elettronica di David Barittoni, nei momenti d'aggressività o di paura, lei ragiona sul suo essere diversa: "Io sono una bambina diversa, ma essere diversi significa essere se stessi". E questa è la morale della favola. Forse. Perché lo sa benissimo di essere "una bambina ritardata". "Quando sono nata hanno detto che avevo una faccia come un cucchiaio. E da quel momento mi hanno chiamato Spoonface. Ma ero solo una neonata, e quando sei una neonata, tutte le stelle e i pianeti si muovono dentro di te. E poi sono caduta dalle braccia della mamma, che litigava col papà che andava in giro con una bambina con le tette. Ma sono stata mai giusta, io?". Bellissimo. Tristissimo. "Ma le cose tristi sono le più belle", ci promette Spoonface. E dopo aver schierato tutte le sue 25 piccole agghindatissime bamboledamine, ci lascia regalandoci un brandello di felicità. La sua: "E nella musica c'erano tutti i pezzetti di bellezza del mondo, ed io ero libera e cantavo come un uccellino".
Un messaggio vitale ed energico di amore per la vita, finché c'è. Un testo di impatto emotivo giocato sul filo sottile che separa il riso dal pianto. (...) Faccia di cucchiaio insegna ai ragazzi d'oggi che l'errore dell'uomo è nella divisione, nella separazione sistematica delle cose e delle persone, mentre la divinità del creato risiede nella sua unità più profonda e intangbile, al di là di ogni religione.
Marco Carniti
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