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Il 15 aprile 1989 si spegneva a Parigi Bernard-Marie Koltès, uno dei rappresentanti più significativi della nuova drammaturgia francese, la cui impetuosa scrittura - teatrale, ma non solo - ha investito, innovandolo profondamente, il sistema delle convenzioni sceniche contemporanee (sia sul fronte della "scrittura scenica" che su quello della "scrittura per la scena").
Coscienti che, nel rispetto dell'indole più genuina dell'autore, qualsiasi omaggio a Koltès, lungi dal risolversi in una museificazione encomiastica, non può che tradursi in una problematizzazione delle sue creazioni, in un vigile attraversamento delle inquietudini e dei soprassalti della sua arte, per celebrare il ventennale della morte del drammaturgo - occasione di svariate commemorazioni ed iniziative editoriali "in memoria" a livello europeo - il Teatro di Roma ricorderà ricordare Koltès, attraverso un progetto composito mirante a disegnare, in maniera quanto più precisa possibile, una mappa dell'universo koltèsiano.
Il "Progetto Koltès" è articolato su più fronti:
- Interventi nell'università che mirino a delineare le necessarie premesse critiche per un'ermeneutica koltèsiana, nel variegato paesaggio storico-culturale della Francia (e, trasversalmente, dell'intero Occidente) degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, con un occhio tutto particolare per il trattamento della vexatissima quaestio della traduzione.
- Interventi presso le scuole medie secondarie di Roma miranti a presentare ai giovani la figura di Koltès e a contestualizzarne la produzione drammaturgica.
- Ciclo di messe in scena. Uscendo dalla "misura asfittica" del singolo spettacolo, per render ragione della sintassi ipertestuale della drammaturgia koltèsiana, propone un ciclo di tre messe in scena di drammi dell'autore. I tre testi che andranno dunque in scena al Teatro India, nei giorni 1-6 dicembre 2009 saranno:
Voci sorde
1 dicembre ore 19.30
2 e 4 dicembre ore 20.30
Sallinger
1 dicembre ore 21.00
2 e 4 dicembre ore 22.00
3 e 6 dicembre ore 20.30
Nella solitudine dei campi di cotone
1 dicembre ore 23.00
3 e 6 dicembre ore 22.30
Alla radice della scelta di mettere in scena il trittico Voci sorde / Sallinger / Nella solitudine dei campi di cotone sta la convinzione critica che, considerato complessivamente, il teatro koltèsiano si presenti come un corpus drammaturgico fortemente coeso, articolato secondo un flusso spiraliforme ininterrotto che procede di copione in copione senza soluzione di continuità. Volendo penetrare i segreti della scrittura dell'autore, dobbiamo dunque tener presente che ogni singola pièce di Koltès può essere a buon diritto assunta ad exemplum ricapitolativo della sua intera drammaturgia e che, parallelamente, lo scrittore tende a celare le chiavi interpretative di accesso ad ogni suo singolo dramma nei testi "altri" che costituiscono la sua suite drammaturgica. Nello specifico i tre drammi suddetti sono stati scelti perché consentirebbero di render ragione di quanto la produzione drammaturgica del primo Koltès costituisca uno straordinario laboratorio di sperimentazione per la definizione della poetica del Koltès "maggiore", dotata però di una sua precisa autonomia estetica in rapporto alle grandi creazioni della maturità.
Indiscutibilmente nel paradossale concerto polifonico "in sordina" del giovanile Des voix sourdes (1974), riecheggia l'accordo dominante di quell'antropologia relazionale del "tu" essenziale alla Buber, classico della matura Solitude (1986). D'altra parte, però, una possibile ouverture alla Solitude - sinfonia fremente e maudite di un engagement sotterraneo - può essere ravvisata pure in Sallinger (1977). Ascoltando nella seconda scena della pièce uno scambio di battute tra i giovani fratelli Anna e Leslie - due dei personaggi principali del dramma - in margine all'irreversibile crisi della loro famiglia borghese, difficile infatti sottrarsi alla tentazione di scorgere nella fantasia di Leslie di fuggire dalla propria casa/nido/prigione e di aggredire per strada un estraneo al fine di sottrarsi al plumbeo sonno della società massificata che lo soffoca, un primo sogno (o sottotesto) del deal della Solitude. Nell'universo postmoderno della Solitude (o della solitude postmoderna) non c'è più spazio per la rivoluzione, ma solo per la rivolta. Ed è nella speranza di questa superstite possibilità di rivolta ancorata all'erotismo - in quanto momento di incontro effettivo, benché violento, con un corpo altro, palpitante "in-sé" capace di scacciare con la sua sensuale presenza le icone vuote e stereotipate della massa - che Koltès accetta il rischio mortale del deal.
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