L’ottobre rosso e la tragedia di una dinastia
L’ultimo giorno prima dell’Ottobre, Lenin esce dalla casa dove viveva nascosto per sfuggire all’ordine di arresto lanciato da Kerenskij, si traveste con una parrucca, si taglia baffi e pizzo e con un documento falso riesce a raggiungere lo Smolny, entrando nella vera cattedrale della rivoluzione che sta per dilagare in città. Da qui, nella stanza 17, Lev Trotkij lancia l’insurrezione, scartando i ministeri per conquistare ad uno ad uno tutti i centri nevralgici della città (dal telegrafo alle centrali, ai silos di viveri, ai ponti, ai canali), lasciando per ultimo Palazzo d’Inverno: che cade alle 2,10 di notte, col governo arrestato in blocco, meno il Primo Ministro Kerenskij in fuga verso Pskov per tentare un’ultima impossibile difesa.
L’Ottobre apre l’era bolscevica, e anche il grande Terrore. Che avrà la sua prima fiammata a Ekaterinburg, negli Urali, dove nella notte tra il 16 e il 17 luglio un commando della Ceka, la polizia segreta, giustizia a colpi di revolver e baionetta lo Zar, la Zarina, le tre figlie e lo zarevic Aleksej insieme con il medico di Corte, la dama di compagnia, un cuoco e un valletto. Sono passati 16 mesi dal giorno dell’abdicazione di Nikolaj II, mesi di prigionia prima nella reggia di campagna a Zarskoe Selo poi a Tobolsk, e infine nella “Casa a destinazione speciale” dell’ingegner Ipatev, a Ekaterinburg. E’ dovuto passare quasi un secolo, è dovuto cadere il comunismo perché i resti dei Romanov – sfigurati con l’acido e bruciati - venissero riconosciuti, recuperati, analizzati nel Dna e infine sepolti nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, che aspetta ancora le ceneri dello zarevic e della sorella Marija. La storia del 1917 finisce qui, dove si chiude il cerchio del secolo. Guardando da “Piter” un’altra tomba, quella di Lenin sulla piazza Rossa a Mosca, imbalsamato nella pretesa fallita di unire passato e futuro, dilatando fino all’eternità il 1917 della Russia.
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