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Nel 1915 un milione e mezzo di armeni furono assassinati nell’Impero Ottomano seguendo
un piano stabilito in anticipo ed eseguito metodicamente con lo scopo ultimo
di distruggerne la civiltà. Come il giornalista francese scrisse “Nell'oriente sta morendo
la nostra sorella, e sta morendo solo perché è la nostra sorella, il suo delitto è che
ha condiviso i nostri sentimenti, ha amato quello che amiamo noi, ha pensato così
come pensiamo noi, ha creduto a tutto quello in cui crediamo noi, ha valorizzato
come noi la saggezza, la giustizia, poesia ed arte”
Gli armeni furono così vittime di un genocidio che sarebbe diventato un riferimento
funesto per coloro che vennero dopo. Da allora, i governi turchi che si sono succeduti
hanno combattuto energicamente per far dimenticare questo triste episodio del passato
del loro paese. Ancora oggi, soprattutto in Turchia, il semplice fatto di enunciare
questa verità storica scatena, contro coloro che lo fanno, una violenta opposizione,
minacce fisiche e in qualche caso perfino la morte. Il negazionismo alimenta il razzismo
e l’odio contro gli armeni e altre minoranze non musulmane. Alcuni vorrebbero
far credere che ammettere la realtà del genocidio armeno sia un attacco contro tutti i
turchi e contro la stessa natura turca, quando di fatto si tratta di un attacco al negazionismo
e di un passo avanti per la giustizia e la democrazia.
L’ultimo atto di un genocidio è la sua negazione
Elie Wiesel
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