Il Teatro Argentina, di proprietà della famiglia Sforza Cesarini, viene inaugurato il 13 gennaio del 1732 con l'opera Berenice di Domenico Sarro. Ma il luogo dove è situato il Teatro ha comunque una storia più antica, difatti in corrispondenza all'attuale Argentina sorgeva la grande aula detta Curia Pompeii, dove Giulio Cesare fu ucciso e che Augusto decise pertanto di far murare. Durò poco il veto, tanto che l'antica area teatrale venne restaurata e rimase in uso fino al quinto secolo dopo Cristo. In epoca moderna, subito dopo la sfarzosa inaugurazione del diciottesimo secolo, l'Argentina si conquistò immediatamente un ruolo di punta nell'offerta teatrale cittadina. Pur accogliendo spettacoli di ogni genere - spesso con balli e numeri sulla corda, raramente delle commedie - per tutto il Settecento il nuovo Teatro, chiamato a far fronte a una spietata concorrenza, si apre invece alle celebri feste del Carnevale di Roma, evento molto partecipato e celebrato nella capitale dello Stato Pontificio come a Venezia con grande sfarzo e coinvolgimento popolare.
Il 20 febbraio 1816 Rossini presenta all'Argentina, in prima assoluta, il suo Barbiere di Siviglia, ma la claque assoldata da Paisiello, autore di un altro e concorrenziale Barbiere, ne decreta inizialmente un clamoroso tonfo. Alla seconda rappresentazione, però, e da quel momento fu un autentico trionfo. Accanto alle acclamate opere rossiniane, il teatro accoglie con successo anche i capolavori di Cimarosa e Donizetti, mentre è del 1827 l'applauditissimo concerto che Paganini esegue nella sala sovrastante il vestibolo.
Nel 1849 l'Argentina vede il debutto de La battaglia di Legnano su musica di Giuseppe Verdi; i romani accorrono in massa nel loro teatro dove, in un afflato patriottico, esultano entusiasticamente e con vigore l'opera del Maestro di Busseto, cogliendo l'occasione per protestare contro l'oppressione dello Stato Pontificio e la presenza francese.
Quando nel 1870 Roma diventa Capitale, subendo una trasformazione urbanistica di forte valore simbolico - con l'asse che unisce via Nazionale a Piazza Venezia e prosegue per piazza Argentina fino a corso Vittorio Emanuele II, suggellando così la congiunzione tra la città laica e il Vaticano - l'Argentina viene a trovarsi, emblematicamente, al centro di questa rete viaria e sociale. È in questo contesto di riorganizzazione urbanistica che lo storico edificio viene acquisito dalla Municipalità cittadina che, in questo modo, si dota di un proprio teatro di rappresentanza istituzionale.
Dagli albori del '900 il Teatro Argentina diventa un teatro di prima grandezza la cui vocazione fondamentale - fin da allora - è quella di dare spazio alla ricerca drammaturgica, valorizzando le nuove proposte, ospitando i grandi interpreti della scena italiana.
da Il restauro del Teatro Argentina di Paolo Portoghesi
«Nonostante la tradizionale diffidenza della Chiesa verso il teatro e le riserve nei confronti di un tipo edilizio predisposto ad un uso licenzioso, in virtù della privata penombra dei palchetti, il "teatro all'italiana" ebbe, nella Roma pontificia, un importante campo di sperimentazione e di sviluppo di cui l'Argentina resta oggi la più significativa superstite testimonianza. La sala originaria costruita dal Theodoli nel 1732, rimasta invariata nella sua matrice geometrica e nel ritmo dei palchi, ha subito però in due secoli e mezzo numerose trasformazioni sino all'attuale restauro del 1993 di Paolo Portoghesi. Tale restauro, strettamente limitato a quanto era necessario cambiare per rendere agibile il teatro, comprese i rivestimenti dei palchi e delle poltrone e i corridoi esterni di accesso, dove il rivestimento di tessuto fu sostituito dall'intonaco, e le porte, bordate da profili di alluminio anodizzato, esemplate su quelle delle cabine delle navi, vennero ricondotte alla classica forma tradizionale. Il cambio dei rivestimenti consentì di ripristinare il rosso, sostituendo l'arancione del restauro del 1970, ed anche le mantovane dei palchetti ripresero la sagoma a festone. Il ritorno del rosso immediatamente riaccese il contrasto tra la sala, il palcoscenico e i palchetti che Proust definì "piccoli salotti sospesi". Le dorature riacquistarono valore e l'intonazione verde del soffitto la sua ragion d'essere, come elemento di equilibrio cromatico».
Più recentemente sono stati ripristinati i pavimenti piacentiniani del botteghino e dell'atrio.
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